Il commento
Vecchia televisione addio, così cambia il valzer di politica e comunicazione
E' l'evoluzione del canone elettivo berlusconiano, legato al piccolo schermo, relegato solo ad un segmento di over 65, per i giovani è un inutile reperto del passato
La tre giorni della Convention di Forza Italia, nelle intenzioni degli organizzatori, si proponeva l’obiettivo di tonificare un po’ muscoli e cuori di un partito che sembra aver consumato anche la tenuta inerziale dei primi giorni dopo la scomparsa del leader, almeno a gettare un occhio ai sondaggi. Non so se quell’obiettivo sarà alla portata: occorrerebbe inventare un partito, trasformando ciò che oggi resta solo un sentimento rivolto al suo inventore. Come si dice, auguri a chi si misurerà con l’impresa.
Intanto qualcosa di significativo quella convention è riuscita a restituire, con lo schieramento delle falangi dei dirigenti, con i giovani coristi del conservatorio, con i grandi schermi e persino con la scelta evocativa della location: un profumo di cose antiche. Un odore di seconda Repubblica, quando l’outsider Berlusconi, facendo la cosa che sapeva fare bene - che era la comunicazione - e usando a suo vantaggio i conti sbagliati di chi aveva immaginato di vincere la partita elettorale con il miracoloso sistema maggioritario per abbandono o quasi dell’avversario, si trovò Presidente del Consiglio. Nacque la lunga era berlusconiana che, tra discese ardite e sorprendenti risalite, ha segnato la politica e la cultura di quasi un trentennio.
C’è un elemento che va tenuto presente quando ragioniamo su quella esperienza, al di là dei contenuti politici, ed è quello relativo all’espressività, o, se meglio piace, alla comunicazione. Prima di Berlusconi il dibattito pubblico veniva proposto principalmente dalla carta stampata, che nella prima metà degli anni ‘90 vendeva 6,8 milioni di copie ogni giorno e si imponeva per autorevolezza assoluta. Le tv, oltre ad avere una naturale agilità sulla cronaca, impossibile per i giornali, si offrivano come strumento quasi ancillare, per consolidare percorsi informativi già aperti dalla carta stampata.
Berlusconi fece saltare lo schema, imponendo la televisione come strumento politico primario anche fuori dai programmi istituzionali. Alimentò l’infotainment, inventò telegiornali satirici, usò canali, come Retequattro, vocandoli totalmente alla informazione politica del capo, usò sapientemente persino la pubblicità commerciale come modello antropologico (la famiglia perfetta del Mulino Bianco diventò elemento dell’ideologia berlusconiana).
Quel pubblico è rimasto fedele ed ha rappresentato la base elettorale di riferimento di Forza Italia: è cresciuto con il leader, è invecchiato con lui. Nel frattempo è cambiato l’universo della comunicazione politica: dopo la carta stampata e la tv sono arrivati i social-media e si è totalmente frantumata la forma-partito, già fortemente in crisi con l’avvento dei leaderismi.
È nata la Terza Repubblica in cui il dato di riferimento più rilevante è rappresentato dall'allontanamento di fasce sempre più rilevanti dei cittadini dalla partecipazione politica e dal voto, soprattutto giovanili (si calcola che solo l'8% della fascia tra i 18 e i 34 anni va alle urne). Nei Comuni ormai vota meno della metà degli aventi diritto, al Parlamento qualcosa in più ma non si sa ancora per quanto. Chi vota lo fa seguendo un onda sentimentale, sempre meno una traccia razionale: è l'evoluzione del canone berlusconiano, che può contare sull’elettore «televisivo», ormai relegato solo ad un segmento di over 65, mentre i giovani considerano l'elettrodomestico solo un inutile reperto del passato.
In questo strano terreno di coltura si misurano leader, non più partiti, azioni per l’immediato, non più idee per il tempo lungo, digrignamenti di denti, non più confronti. Sarà forse l’epifania della nuova Repubblica, parecchio lontana dalle convention stile «berlusca» anni '90, ma forse varrà la pena darci tutti una regolata prima che a cascare a pezzi sia l'intero sistema.