La riflessione

Giorgia naviga a gonfie vele ma le elezioni locali sono tutt’altro «affare»

Bepi Martellotta

Maggio 2024, giugno 2024. Due appuntamenti con le urne quelli delle amministrative di Bari, Lecce e Foggia e delle Europee che segneranno, almeno per un po’ di anni, il destino della Puglia e della sua governance

Maggio 2024, giugno 2024. Due appuntamenti con le urne quelli delle amministrative di Bari, Lecce e Foggia e delle Europee che segneranno, almeno per un po’ di anni, il destino della Puglia e della sua governance. Non meravigli, dunque, i pugliesi alle prese col lavoro che non c’è, con le bollette che diventano pesanti e la spesa che finisce prima del mese, con i redditi sempre piu bassi e gli ospedali che non funzionano, se già ora si parli così tanto di politica. Qui la Puglia si gioca la fine di un ciclo e l’inizio di uno nuovo, a prescindere da chi risulterà vincitore.

La «primavera» del centrosinistra, che ha segnato nel bene e nel male tre lustri di governo alla Regione, è a un cambio di passo. I campioni delle urne che dal 2004 ad oggi hanno sbaragliato il campo degli avversari di centrodestra rivoltando l’Emilia nera di Tatarella – da Decaro a Vendola e a Emiliano – oggi sono alle prese con un vento che soffia a destra in ogni angolo d’Italia. Certo, la prova di governo non è facile quando hai la guerra alle porte dell’Europa, orde di migranti che arrivano ogni giorno sulle tue coste, l’inflazione che galoppa e la povertà che aumenta, ma a Giorgia 2 (Meloni) va riconosciuta l’impossibilità di continuare ad essere per sempre Giorgia 1 (quella della campagna elettorale). E questo l’italiano medio, di destra o di sinistra che sia, lo comprende facilmente, anche quando si sente beffato dai video con le promesse sui tagli delle accise - che non arrivano - alla pompa di benzina. I sondaggi, infatti, parlano chiaro: a lei vanno ormai le stesse preferenze che raccoglieva Berlusconi ai tempi della Milano da bere, promessa – questa – di un governo che è destinato a prendersi tutto il quinquennio di vita naturale come non accade da tempo in Italia.

Nei territori è un altro discorso. A Milano come a Bari vale la regola del «tombino»: se sei bravo ad aggiustarmi la strada sotto casa, a farmi trovare una corsia d’ospedale pulita, a non farmi trovare la spazzatura gettata sotto l’uscio e, magari, a togliermi qualche delinquente dalla strada quando esco, io ti voto. E non esistono bianchi, neri, rossi o giallo-verdi che tengano. Alleanze politiche, bandiere, comizi, campagne social e raduni sul palco svaniscono in un soffio, vince chi si mostra piu «problem solver» di altri. E vale in Puglia, dove il sindaco di Bari Decaro uscirà (forse) di scena il prossimo anno ancora in testa alle classifiche sui primi cittadini, mentre il governatore della Puglia – ad oggi - sgomita agli ultimi posti dei presidenti di Regione. E dunque, cosa accadrà quando quei due appuntamenti arriveranno a chiudere il ciclo?

Le previsioni in politica, di questi tempi, sono sempre azzardate. Ma, a giudicare dal «sentiment», i mesi che ci separano dalle urne comunali ed europee non sposteranno il soffio del vento in Italia. Semmai, molto dipenderà da quanto la nuova leader degli avversari, Elly Schlein, riuscirà dall’opposizione a far risalire la china di un Pd in caduta libera dopo anni e anni di governo con chiunque venisse proposto sulla poltrona di Palazzo Chigi, che fosse il pentastellato Conte o il super-tecnico Draghi, che ci fosse la grande coalizione con i berlusconiani o il “campetto” largo con Beppe Grillo. Comunque vada, per l’ex «sardina» incoronata a capo del Pd dalle primarie aperte a tutti, anche una lieve sconfitta sarà un successo se l’obiettivo è continuare a ricostruire le macerie delle ultime Politiche che ha lasciato Enrico Letta.

Le Europee? L’Ecr (Conservatori e riformisti) di cui Giorgia è leader hanno dimostrato di non voler rovesciare gli equilibri di Bruxelles come prometteva il «grillino» Farage. E hanno giurato fedeltà all’asse atlantico anti-Putin, sollecitando in cambio solo un ripensamento (tra l’altro inevitabile) sulle fallimentari politiche migratorie dell’Unione. Dunque, per loro, la strada appare in discesa a maggior ragione se tiene l’asse con i popolari del Ppe di cui fa parte Forza Italia. I buoni e saldi rapporti, non a caso, tra Fratelli d’Italia e gli azzurri di Tajani al governo del Paese sembrano solo confermare quell’asse internazionale che promette di poter governare in autonomia, mettendo nell’angolo i radicalismi di Salvini ma senza ricorrere ai «modelli Ursula». Anche qui, un ragionamento sulle candidature in chiave nostrana merita di essere fatto.

Bonaccini, De Luca e Emiliano – cioè quelli che erano (e in parte sono ancora) i piu temibili avversari del nuovo corso Pd modello Schlein – sono tutti in procinto di tuffarsi nelle urne per Bruxelles. Lo faranno davvero? Cioè, come suggeriscono i fedelissimi di Elly, si leveranno finalmente di torno andando a «svernare» Bruxelles, lontani dalle leve del potere romano e lasciando campo libero tra i Dem sia Largo del Nazareno che nei territori? O si metteranno di lato per continuare a tenere in piedi le trasversali «anime», «correnti» e alleanze spurie costruite nei loro feudi, in attesa di «espugnare» la prima poltrona del Pd conservando gli eserciti? Perché un dato è certo: con loro, i governatori, «feudatari» di consensi e potere in Campania come in Puglia, il Pd di Elly ha un rapporto di diffidenza. Deve cioè fare i conti con quei «capipopolo» un po’ insidiosi, piu fedeli alla propria linea che a quella del partito a cui si richiamano, e accettare le loro condizioni. Che sono sempre negoziali. E dunque, meglio li, a Straburgo, che qui a costringerti a fare negoziati sulle liste, nelle regioni che il governo Meloni piano piano si va conquistando (anche in chiave europea) e dove il «nuovo corso» modello Schlein sfuma nei mille rivoli gestiti da questi cacicchi.

Sui Comuni il discorso non è poi così diverso. I feudatari regionali tengono le leve e i sindaci, con meno (Salvemini a Lecce) o piu (Decaro a Bari) quotazioni nei sondaggi, si battono per aggiustare i semafori, pulire le strade dalla microcriminalità e tenere a bada i disoccupati senza reddito di cittadinanza che bussano alle porte dei Municipi. Ora, con un centrodestra che appare piu unito di prima e che, nell’equilibrio post-berlusconiano tra Fi e Fdi, riesce a tenere a bada le «bizze» della Lega, la partita dei Comuni – sinora andata a vantaggio del centrosinistra – rischia di rovesciarsi. A maggior ragione se i campioni della «primavera pugliese», come pare, non riescano a trovarsi con i tempi e con i modi.

Decaro delle Europee 2024 non ne vuole sentir parlare e preferirebbe rimanere seduto sull’albero, a mandato scaduto, in attesa di saltare - ma solo nel 2025 - sulla Regione. Emiliano all’idea di andare a svernare nell’Ue lasciando in anticipo la Regione preferisce quella di un terzo mandato (e, tra un sorriso e una stilettata al veleno, sega il ramo dell’albero di Decaro). A sinistra, dunque, nicchiano in attesa degli eventi. E aspettano la stampella dei Cinque Stelle, ormai spariti dai radar dei territori, per il «campetto largo» di cui sopra. A destra, invece, corrono a trovare quadre e, dopo aver espugnato Brindisi, si presentano uniti su Foggia e si accingono a chiudere il cerchio anche su Bari. In entrambi i casi, nel segno dell’unità politica farcita di «civismo», con l’obiettivo di chiamare alle armi del voto sia la destra risvegliatasi col governo Meloni che i «trasversali» cooptati dai capipopolo di sinistra.

Che sia un ritorno all’Emilia nera è fantascienza dirlo oggi, ma di certo un nuovo ciclo già si intravede. E chi esce di scena a sinistra, nei prossimi due anni, potrebbe pure essere tentato dal noto proverbio di Luigi XV che descrive le macerie: «dopo di me, il diluvio».

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