L'opinione
L’Africa è in fiamme: va bene evocare Mattei ma serve concretezza
Peccato, perché il modello Mattei, praticato entro un orizzonte di concretezza e non come slogan da agitare per ragioni di pura estetica, alla ricerca di fondamenti di senso, è il nostro destino ineluttabile
La prima volta che comparve nelle cronache politiche contemporanee il nome di «Mattei» collegato al sostantivo «piano», alla preposizione «per» e al toponimo «Africa», è stato il 25 ottobre 2022, nei resoconti diffusi dall’ufficio stampa della Presidente del Consiglio Meloni ai giornalisti accalcati nel Transatlantico, subito dopo l’intervento con cui l’incaricata capa del governo chiedeva il voto di fiducia alla Camera dei Deputati.
La prima presidente donna, la prima tra gli eredi del «polo escluso» della destra missina di Almirante, l’unica leader di partito che si era chiamata fuori dall'unità nazionale raccolta nell’abbraccio collettivo al governo Draghi, celebrava la sua vittoria e, insieme l’egemonia sulle destre italiane con un risultato elettorale che aveva sovrastato ogni alleato e si era giovato dell’irriducibile inconcludenza delle opposizioni.
Giorgia Meloni fece un discorso «tosto», con rivendicazioni identitarie ma anche con astuti distinguo rispetto ad una professione ideologica che, soprattutto sul piano internazionale, continuava ad essere evocata da chi, peraltro, non mancava di stigmatizzare i suoi recenti endorsement nei confronti di formazioni destrorse europee, con intenzioni egemoniche sull’area della destra-destra continentale.
Tuttavia Giorgia Meloni non mancò di raccontare agli italiani il suo personalissimo pantheon, citando due Papi, San Benedetto, Falcone, Borsellino, Dalla Chiesa ed Enrico Mattei.
Con tutto il rispetto per i Santi - laici e cristiani - e per i Papi, ciò che sorprese fu il riferimento a Enrico Mattei, un monumento dell’antifascismo di matrice cristiana. Di più: un capo partigiano che partecipò, in rappresentanza della DC al comando militare del Comitato di Liberazione Nazionale. Probabilmente la scelta di un partigiano come modello non fu casuale perché rafforzò il discorso con cui la nuova presidente aveva voluto sottolineare, al cospetto solenne del parlamento, la sua distanza dal fascismo con la dichiarazione di una quasi antipatia nei confronti della creatura mussoliniana («nessuna simpatia», fu l'espressione). Non passò inosservato, certo, ma neanche fu riservata un’attenzione speciale al senso politico di quell’evocazione che avrebbe dovuto avere un valore formidabile di allineamento alla politica estera italiana che, da Mattei (appunto) in poi, si declinò senza tentennamenti in chiave di apertura al Mediterraneo (si legga pure Moro, Andreotti, Craxi e, fino a quando c’è stato un combaciamento di visioni ed interessi, anche Berlusconi).
In realtà nell’intento della presidente l’evocazione presentava due «addittivi»: un primo riguardava la rivendicazione di un ruolo italiano «strategico» nel Mediterraneo. Il secondo aveva il corollario coniugabile con «aiutiamoli a casa loro, così non vengono più a casa nostra»: insomma, fermiamo i flussi migratori. Certo l’idea «matteiana» era dichiarata : si trattava di promuovere «un modello virtuoso di collaborazione e di crescita tra Unione Europea e nazioni africane, anche per contrastare il preoccupante dilagare del radicalismo islamista, soprattutto nell’area sub-sahariana» (dal discorso alle Camere del 25 ottobre 2022). Peccato, però, che l’esordio con il Def avrebbe dimenticato in un amen la vocazione mediterranea, tagliando di 109 milioni in tre anni la cooperazione alla voce «immigrazione e garanzia dei diritti», spostando le cospicue risorse alla voce Ucraina (aprile 2023).
Peccato, perché il modello Mattei, praticato entro un orizzonte di concretezza e non come slogan da agitare per ragioni di pura estetica, alla ricerca di fondamenti di senso, è il nostro destino ineluttabile. E lo diventò ancora di più dopo la caduta del Muro di Berlino, quando la geografia mediterranea tornò a combaciare con la Storia. L’Europa, che ha sempre avuto una trazione nord-orientale, ha mostrato una sorprendente miopia al riguardo. Ma l’Italia, insieme agli altri Paesi mediterranei dell’UE, non ha saputo fare molto di più. E così il Meridione dell’UE, che è l’Africa, è diventato il teatro di una partita egemonica fatta dalla Cina. E dalla Russia: non sarà sfuggito anche al lettore più distratto, il fatto che lo slogan urlato da una folla di golpisti inferociti all’assalto dell’Ambasciata francese a Niamey, in Niger, fosse «Viva Putin». Va bene evocare Mattei, allora. Ma con dentro qualcosa di più di uno slogan che acquieta la coscienza.