Il commento
Oltre i conflitti tra poteri, Mantovano e il ruolo mediterraneo dell’Italia
Il sottosegretario alla presidenza del Consiglio, intervenuto alle festa della Uil a Bari, ha fatto una sintesi della linea politica internazionale del Governo Meloni
Geopolitica come ponte tra le due sponde del Mediterraneo, lotta alla fame come argine ai grandi flussi di immigrati, prospettive di pace e riflessione sulla necessità di non tornare ad avvelenare il clima politico con «scosse» giudiziarie come nella Seconda repubblica, a cui la morte di Silvio Berlusconi sembrava aver dato l’ultimo commiato: l’intervento di Alfredo Mantovano, sottosegretario alla presidenza del Consiglio, nella festa della Uil a Bari, costringe meritoriamente ad accantonare le legittime beghe tra governo ed opposizioni, per guardare al ruolo che l’Italia e la Puglia possono svolgere in uno scenario globale sempre più incerto.
Il politico salentino - tra i maggiori sostenitori dell’indicazione del premier Giorgia Meloni per la Puglia come sede del G7 del 2024 - ha fatto una sintesi della linea politica internazionale di Palazzo Chigi (e di una destra governista di respiro europeo) rilevando la necessità di una sempre maggiore leadership verso la sponda meridionale del Mare Nostrum: «La priorità è fronteggiare nel modo più adeguato, per l’Italia e per la sponda Sud del Mediterraneo, gli effetti di questo conflitto, che Papa Francesco ha definito “la terza guerra mondiale a pezzi”, iniziata in Ucraina, con ricadute in tutto il mondo, non solo sotto il profilo dell'approvvigionamento energetico».
Non a caso Mantovano ha collegato al conflitto gli effetti insoddisfacenti dell’accordo per il grano tra Ucraina-Russia, evidenziando come siano davvero percentuali risibili quelle che da Kiev giungono nei paesi del Nordafrica, dove i flussi migratori sono connessi anche a emergenze alimentari alimentari.
In uno scenario sempre più iperconnesso, la lettura di Mantovano è fondata su un ruolo sinergico tra l’Europa e i Paesi da cui partono i migranti, in nome di una politica di condivisione e solidarietà che ribalta gli stereotipi addebitati alle destre sul dossier migranti.
Non è «materia di slogan», ha chiarito l’esponente del Governo, e per questo è tornato a illustrare il perimetro del «Piano Mattei» per l’Africa: «Stiamo provando come Italia a stabilire una alleanza reale con i Paesi della sponda Sud del Mediterraneo, che arriva fino al Golfo, per mettere insieme risorse destinate allo sviluppo che servano realmente a loro, non a noi; per individuare una prospettiva non solo di vita ma di permanenza in quei territori che abbia un minimo di concretezza».
Mantovano ha disegnato questo schema con tre interlocutori: le nazioni di provenienza dei flussi migratori «a cui destinare progetti seri di sviluppo, non a pioggia»; i Paesi di transito «che hanno problemi di squilibrio e contenimento», e i Paesi «di destinazione ma anche donatori».
Questo attivismo italiano non è scollegato da Bruxelles, ma vuole aiutare a bypassare le lungaggini del sovrastato Ue, con la forza della percezione della «missione universale» connessa alla storia, politica e diplomatica, dell’Italia: «Noi - ha puntualizzato riferendosi ai cugini transalpini senza citarli - riusciamo a interloquire con questi Stati meglio di altri: non veniamo percepiti come una nazione dal tratto neocoloniale o di sfruttamento. Siamo molto apprezzati sia per gli insediamenti produttivi come la rete dell’Eni, sia per l’aiuto che l’Italia ha dato alla costruzione della pace con i contingenti militari, non a presidio delle miniere di oro e uranio ma della sicurezza dei territori».
In questa prospettiva la stabilità di legislatura del governo Meloni può consentire di rendere l’appuntamento del G7 2024 in Puglia una tappa di un nuovo rinascimento italiano. A condizione che la dialettica tra poteri non torni a percorrere sentieri avvelenati (chi non ricorda l’avviso di garanzia a Berlusconi prima del G7 a Napoli del 1994?) o le fibrillazioni animate dal corto circuito giudiziario-mediatico che Mantovano ha ricordato come determinanti nell’affondare i governi Prodi e Renzi e la Bicamerale di D’Alema.