Il commento
Contro il caos a lezione di diritti e responsabilità
Non è chiaro cosa stia accadendo, ma senza scomodare i nefasti presagi ci accorgiamo che la realtà ha mille sfaccettature di incertezze, frammenti di non presente
Il caos indistinto alberga sul pianeta terra: tra guerre, conflitti interni, esiti elettorali che rendono il futuro lontano, disagiatezze economiche, alluvioni. Così si presenta lo scenario in un cataclisma naturale e umano che mette in scena l’improbabile. Qualcuno attende il coup de théâtre. Al momento solo colpi: bassi. Non è chiaro cosa stia accadendo, ma senza scomodare i nefasti presagi ci accorgiamo che la realtà ha mille sfaccettature di incertezze, frammenti di non presente. Non c’è solo lo zampino dell’umano, il non fatto, non pensato, le improvvisazioni: c’è la natura che delle etnie se ne infischia, non fa selezione, spazza via tutto ciò che configura come ostacolo, che ostruisce il suo percorso. Una metafora che fa pensare al singolo individuo che per raggiungere le singolari utilità o espandere i propri domini sgomita, sconfina, perde il significato etico.
Ma qui, la natura semplicemente segue il suo corso. Non programma, non segue utilitarismi, ma i danni sono comunque ingenti. In fondo, l’umano persiste da decenni a compiere errori, la natura lo fa all’improvviso, un attimo e va via. Gli esseri umani restano e talvolta sono esseri, altri umani, altri ancora ci provano a dar un senso al proprio esistere. Ma sono in pochi ad avere e a comprendere l’umano e il suo habitat. Il compiersi naturale per il quale forse ciò che accade sceglierebbe altre modalità se solo riuscisse a comprendere: interpretare la realtà. Se gli individui comprendessero che a ogni azione prima o poi corrisponde una reazione, che occorrono regole, planimetrie, manutenzione e non una transizione ecologica basato sui profitti. Perché, in fondo, questo è: si oggettiva ogni cosa, anche se stessi.
Affranta percepisco - d’accordo con le affermazioni di Michele Serra - che puntualmente si affrontano gli stessi temi quando accadono, con le stesse buone intenzioni, con provvedimenti che dopo anni, decenni, ti accorgi che sono affondati. Nulla si è fatto. D’altronde, in Abruzzo ad esempio, molti degli abitanti vivono ancora in edifici di fortuna. Governi troppo intenti a far quadrare i propri bilanci, resoconti, interessi individuali più che collettivi, che anzi spesso collidono con la «responsabilità collettività», e anziché simboleggiare la cultura, predomina il «dominio»: l’assegnazione di poltrone. Da sempre. Governatori che retrocedono, non avanzano, non mirano a migliorare la cittadinanza italiana, a restituire dignità e diritti, (regrediquamprogredimalle, Cicerone). È come essere depositari di un corpo con un cervello che non ci appartiene. Si potrebbe incorrere dunque all’eugenetica o al trapianto di cervello, ma si tratta di inopportune manipolazioni che non porterebbero ad alcuna convenevole soluzione. La mia è una provocazione che impone dei leciti interrogativi: «Che fare?» «Quali potrebbero essere le soluzioni da adottare per far mutare l’orizzonte e il fine per il quale agire?»
Dalle calamità naturali alla regressione dei diritti dei popoli. Un nesso c’è: il particolare è nell’universale. La relazione è beneficiaria di cultura (quando è autentica). Le persone sono state e sono tuttora oggetto del dominio dei vari sovrani, assumendo così per questo il titolo di soggetti passivi del diritto internazionale. Tuttavia, dalla «Dichiarazione Universale dei Diritti Umani» sino a oggi di tempo sicuramente ne è passato e dei cambiamenti ci sono stati nel considerare l’individuo e il popolo, è evidente nell’art.1 della Dichiarazione che «Tutti gli esseri umani nascono liberi e uguali in dignità e diritti. Essi sono dotati di ragione e coscienza e devono agire gli uni verso gli altri in spirito di fratellanza». Tuonano le parole del giurista Antonio Cassese: «L’universalità è ancora un mito». Il diritto cosmopolitico impugnato da Kant sembra non aver ancora persuaso, eppure basterebbe dare una lettura allo scritto Per la pace perpetua. I libri non invecchiano. Non hanno tempo. Sono per sempre. E allora leggiamo: «Il diritto che uno straniero ha di non essere trattato come un nemico a causa del suo arrivo sulla terra di un altro». Nessuno ha più diritto a un altro ad abitare un luogo della Terra. Se si attuasse il «diritto cosmopolitico» sarebbe un mondo pacifico? Sarebbe sicuramente un mondo civile, democratico, sociale, dove i diritti fondamentali saranno riconosciuti e la pace non avrà la guerra come alternativa, perché i cittadini non saranno di questo o di quello Stato (Bobbio). E allora in assenza di morale, libertà, onestà, anche la politica e il diritto saranno pensieri senza sostanza conducendo la società a un vero declino, a una regressione: il non concepire il diritto dell’individuo, il diritto alla vita, al lavoro, alla cittadinanza e alla salvaguardia del rispetto dei valori della democrazia risiede per l’appunto nel non riuscire a evitare tale regressione.
D’altro canto, porre il parallelismo tra distruzione, inondazioni di alcune realtà della Romagna e la disfatta di una squadra di calcio sta a significare che non solo si è persa la sostanza, ma si è smarrito il pensiero. Più di uno. «Tragedia della civiltà e della cultura».