L'analisi
Lo scudocrociato come ossessione nelle «baruffe» sulla Dc
Ciclicamente torna alla ribalta della cronaca, in verità con sempre minori colonne di stampa, la «questione democristiana» come baruffa chiozzotta per l’attribuzione via giudiziaria di simboli, scudetti e denominazioni
Ciclicamente torna alla ribalta della cronaca, in verità con sempre minori colonne di stampa, la «questione democristiana» come baruffa chiozzotta per l’attribuzione via giudiziaria di simboli, scudetti e denominazioni.
La seconda volta che la Storia si affaccia sulla scena umana, diceva Marx, lo fa per essere una farsa. Per la Dc questi trent’anni e passa che separano la sua estinzione dall’oggi della Terza Repubblica (sic!) e dalle ultime inutili diatribe tribunalizie, sono stati un tempo di rincorse, epifanie annunciate e poi svaporate, tentativi d’imitazione: una burletta, più che una farsa. Inevitabilmente animata da ormai attempati personaggi alla ricerca della pietra filosofale con sopra lo scudetto e la scritta libertas, scivolata via in chissà quale piega delle tre Repubbliche italiane.
Insomma: una piccola storia di ceto e non di popolo. Per alcuni pura nostalgia. Per altri un lampo di furbizia che qualche volta ha funzionato portando i titolari di brand a lucrare un posto di deputato o sottosegretario, profittando del fatto che ormai i voti personali non si vedono più con questi sistemi elettorali e che la qualità del millantato credito non è solo un reperto letterario. Adesso che l’ultimo esperimento para-centrista allestito dal duo Renzi-Calenda, sembrerebbe andato a pallino (con ampi gongolamenti dei professionisti della psiche, dagli psicologi di strada ai grandi psicanalisti che l’avevano detto dall’inizio) e che la leadership sinistrorsa della Schlein mette in fuga i moderati del PD, qualcuno opina che le terre di mezzo si possano aprire ai nuovi Mosè in attraversamento asciutto del Mar Rosso.
Siamo, ahimè, di diverso parere. Intanto, «mi si consenta» (citazione voluta...): quale appeal potrebbe più avere lo scudo crociato, se non presso qualche nostalgico cultore delle generazioni ultrasessantenni, che, è vero, non sono pochi, ma chi l’ha detto che siano DC oriented?
In realtà si compie un errore prospettico quando si scambia la potenziale disponibilità di un segmento elettorale di area «centrista» con un serbatoio di consensi bello e pronto, che aspetta solo l’innalzamento del vessillo per correre incontro ad una nuova dc. Nossignore: non è così che funziona. Non è la toponomastica a trascinare il consenso, altrimenti negli ultimi trent’anni qualcosa sarebbe accaduto. È la politica: cioè il progetto, la visione, l’adesione ad un modello culturale. La Dc ebbe un’idea di paese e seppe, in un contesto storico sideralmente diverso, portare a compimento il suo disegno attraverso esperienze di governo coerenti. Quale sarebbe la vision della nuova nebulosa centrista? Non si sa, perché forse non c’è.
Mi sono domandato più volte quale potrebbe essere oggi un terreno d’impegno per gli eredi del cattolicesimo democratico.
Ebbene, c’è uno spazio senza rappresentanza, che oggi trova due riferimenti alti ma non agibili politicamente, il Papa e il Presidente della Repubblica, ed è lo spazio della solidarietà.
Difeso dalla Costituzione da molti articoli ma scolpito in particolare dall’art.2, una specie di sintesi del tutto. La solidarietà? Il Pd sembra darla per implicita propendendo totalmente verso l’area del politicamente corretto; la destra manifesta altre priorità. Eppure c’è un popolo in sofferenza, giovani generazioni ai margini, un ceto medio massacrato e nessuno si fa carico «politicamente» di questo spazio.
Ecco, invece di nostalgie canaglie per un’esperienza immensa che mostreremmo di rispettare veramente se la lasciassimo dov’è, scolpita nella migliore storia della Repubblica, forse varrebbe la pena di lavorare seriamente sulla solidarietà dispersa in questo meraviglioso ma non sempre ben tutelato nostro Paese.