L'editoriale
DEF, la sorprendente accondiscendenza della Meloni alla UE
Il segno generale della manovra è restrittivo e va respinta, come giudizio, per una serie di ragioni
Il primo DEF del Governo Meloni propone misure di austerità, con una riduzione del deficit in rapporto al Pil e la previsione della riduzione anche del debito pubblico/Pil. Si promette una compressione – sebbene in misura ridotta – del cuneo fiscale e non è ancora chiaro come verranno finanziate le principali misure introdotte – nel dibattito politico - negli ultimi mesi, a partire dalla riforma fiscale. La previsione è di un incremento dell’avanzo primario, cioè del risparmio al netto delle spese per interessi, che sarà pari, nel 2024, a circa 6 miliardi, per crescere a 26 e 45 nei due anni successivi. Si prevede, altresì, una contrazione del rapporto debito pubblico/Pil. Le stime sono ondivaghe sul tasso di crescita del Pil: il DEF lo fissa allo 0.9%, mentre il Fondo Monetario Internazionale lo prevede per quest’anno allo 0.7%, in uno scenario comunque di rallentamento della crescita mondiale.
Il segno generale della manovra è, dunque, restrittivo e va respinta, come giudizio, per queste ragioni.
1) Innanzitutto, il consolidamento fiscale messo in atto sembra essere dovuto, con la massima evidenza, dall’obiettivo di assicurarsi il placet della Commissione Europea sui nuovi vincoli di finanza pubblica che verranno stabiliti, a seguito della sospensione del Fiscal Compact. Gli elettori di Destra saranno forse sbalorditi da tanta incoerenza e tanta inutile tempestività. Qualche anno fa, Fratelli d’Italia preparava – nel suo programma elettorale – l’Italexit ed è noto che alcune formazioni politiche che gravitavano a Destra sono poi confluite, prima del 25 settembre, nel gruppo di Paragone. Da qui alla piena accondiscendenza (addirittura) ai falchi olandesi e tedeschi può sembrare davvero troppo. Inoltre, la tempestività è eccessiva, dal momento che sembra esserci – se ci fosse la volotà politica – ancora tempo e spazio per la negoziazione sui nuovi vincoli, che saranno non più generali (cioè validi per tutti i Paesi europei, come lo erano il 3% del deficit/Pil e il 60% del debito pubblico/Pil), ma specifici alle singole condizioni nazionali.
2) L’attacco al Welfare è di ampia portata, con una contrazione significativa della spesa sociale e degli investimenti. Il deficit tendenziale è al 4.5% e si rinvia a un futuro provvedimento per la riduzione del cuneo fiscale, come voluto, in particolare, da Confindustria. Si teme, da parte governativa, una spirale salari-prezzi che è però ben difficile oggettivamente individuare. Fonti autorevoli stimano uno spazio per incrementi salariale pari al 5%.
3) Continua la crescita delle spese militari, in linea con il Governo Draghi. Si tratta di uno stanziamento consistente, che porta le spese per armi in rapporto al Pil a quasi il 2%. Si tratta di un provvedimento non dovuto: non esiste, infatti, nessun vincolo giuridico, in sede Nato, che obblighi il nostro Paese a questo sforzo, né siamo vincolati a una tempistica data.