L'opinione

Lo «smartworking» stressa le donne? Serve la co-genitorialità

Emanuela Megli

Il riconoscimento dei bisogni della persona, accanto alla consapevolezza degli standard organizzativi finalizzati alla produzione, può essere in accordo e non necessariamente in conflitto, anzi

Dalle considerazioni sullo smart working, riferite ieri dal ministro della Salute Orazio Schillaci alla vigilia della Giornata della Salute della donna, arriva un allarme per le donne che lavorano da casa e il loro benessere psicofisico.

Perché lo svolgimento della prestazione lavorativa in smart working può essere dannoso e peggiorativo delle condizioni di salute della donna? Per tre ragioni. La prima è che lo smart working deve prevedere l’accordo tra le parti e deve essere applicato su base volontaria. Il secondo fattore è che lo smart working spesso smuove aspettative che vengono disattese da ambo le parti (datore di lavoro e lavoratori). Terzo, lo smart working non viene applicato secondo una cultura manageriale di lavoro che prevede il rispetto condizioni chiare relativamente ad un lavoro che si può svolgere anche fuori dai locali aziendali e con l’ausilio di supporti digitali, in tempi stabiliti e in modalità condivise secondo un’organizzazione del lavoro per obiettivi ed indicatori misurabili di risultato. Questa misura di flessibilità organizzativa prevede la capacità di conoscere contenuti e tempi di lavoro e soprattutto richiede fiducia piena nei collaboratori, in una logica di produttività basata sul possibile paradosso in cui benessere e produttività siano uno la conseguenza dell’altro.

Il riconoscimento dei bisogni della persona, accanto alla consapevolezza degli standard organizzativi finalizzati alla produzione, può essere in accordo e non necessariamente in conflitto, anzi. Il lavoratore che concorda modalità, luoghi e tempi di lavoro e di risultato e prestazione, ha interesse a «rendere» e a compartecipare agli obiettivi aziendali, in quanto responsabilizzato e gratificato psicologicamente ed economicamente.

Spesso dimentichiamo che prima del contratto di lavoro, tra impresa e dipendente o collaboratore, si instaura un contratto psicologico, immateriale e intangibile. È quello però più importante, che sancisce la purezza e l’autorevolezza di una relazione di rispecchiamento reciproco, in cui l’impresa offre l’opportunità di valorizzare l’efficacia e il bisogno di dignità e di senso che il lavoro offre, in cambio di una prestazione di tempo e competenze che vengono anche retribuite. E per coloro che credono nella missione del proprio lavoro, nel senso di scopo del lavoro, che a volte -per un connubio perfetto- coincide anche con lo scopo dell’organizzazione, non esiste retribuzione o condizione lavorativa in grado di ripagare tempo, dedizione e passione impressa al risultato prodotto. Questo contratto psicologico comporta un livello di fiducia che non può essere disatteso pena la mancanza di ingaggio e l’abbandono del posto di lavoro. Una parola merita anche la condizione di contesto in cui lo smart working viene ad essere inserito: la cultura di organizzazione famigliare in cui la gestione dei carichi è ancora maggiormente a carico della donna, non permette un equo bilanciamento e una chiara definizione dei confini tra gli ambiti di vita. Le donne sono ancora sotto la spinta inconsapevole del multitasking, che non è una caratteristica vincente – come si crede - ma un’arma a doppio taglio poiché se da un lato riescono a tenere tutto insieme contemporaneamente, dall’altro accusano stanchezza e senso di inadeguatezza, anche rispetto ad una mentalità che tende a farle sentire incomplete e in colpa se non rispondono ai ruoli tradizionalmente ad esse assegnati. In altri termini devono lavorare il doppio, per garantirsi autonomia economica ed efficacia lavorativa e famigliare e fanno fatica ad accettare la necessità di chiedere collaborazione e aiuto, riconoscendo l’insostituibilità del ruolo genitoriale maschile, non solo negli adempimenti pratici, ma nel dispiegamento di quelle doti di gestione anche emotiva e psicologica che la presenza di un nido famigliare richiede.

Ancora troppe sono le dimissioni delle donne alla nascita del primo e al secondo figlio, pochissimi gli aiuti esterni, e troppo scarsa la consapevolezza del bisogno di co-genitorialità, in cui sentire la complicità di una grande bellezza e di una grande responsabilità, come quella di una famiglia.

Lo smart work è uno strumento gestionale da adottare con specifiche misure di accompagnamento, in primis con l’analisi della sua fattibilità, a patto che rispetti la libertà e la volontarietà delle parti, come supporto ad un contratto psicologico forte e pre-esistente tra le parti, che contempli la fiducia e la disciplina di un’organizzazione pianificata; un management capace di porre le basi di una comunicazione efficace, di offrire feedback di miglioramento della prestazione lavorativa e che sia capace di ascoltare e favorire il benessere delle persone, quale garanzia di successo del lavoro e delle performance.

Privacy Policy Cookie Policy