L'editoriale

Il primato delle «estreme» Meloni e Schlein, e ora i moderati reagiscano

Gaetano Quagliariello

Il question time che questa settimana ha provocato lo scontro parlamentare tra Giorgia Meloni ed Elly Schlein da poco assurta a leader dell’opposizione, ha avuto effetti a dir poco dirompenti

Il question time che questa settimana ha provocato lo scontro parlamentare tra Giorgia Meloni ed Elly Schlein da poco assurta a leader dell’opposizione, ha avuto effetti a dir poco dirompenti. La politica di oggi, d’altra parte, assai più che alle logiche del ragionamento distaccato risponde a quelle dell’impressione: chi mai, dunque, avrebbe potuto resistere all’attrazione fatale creatasi per la contrapposizione tra due giovani leader diversamente carismatiche, appassionate delle rispettive idee, entrambe con un forte imprinting identitario e un’interpretazione esistenziale del loro essere donna assolutamente speculare? Infatti, nessuno ha resistito e quel franco confronto si è trasformato in «evento», come tale sviscerato in analisi, commenti, cronache, immagini, caricature e interventi satirici.

È di facile previsione che, almeno per un po’ di tempo, la «singolar tenzone» alla quale abbiamo assistito in Parlamento assurgerà, addirittura, a matrice principale del conflitto politico in Italia. Se questo accadrà, però, è perché dietro quello scontro c’è qualcosa di strutturale; qualcosa, cioè, che va oltre l’impressione, la caricatura, la bruciante battuta sul web. Quel diverbio, insomma, è riuscito a dar sangue, voce e volto al mutamento di un paradigma classico della lotta politica. Siamo stati abituati fin qui a considerare - dall’esperienza non meno che dalla letteratura scientifica sul tema -, che nei sistemi bipolari il ruolo di partiti pivot venga svolto dalle forze più spostate verso il centro del sistema, in grado di intercettare meglio quell’elettorato moderato (proprio per questo poco fidelizzato), il quale spostandosi da una parte o dall’altra, a seconda delle contingenze e delle proposte, ha avuto il potere di determinare la vittoria ora dell’uno ora dell’altro schieramento. Siamo abituati, insomma, a considerare sistemi politici «centripeti» nei quali i partiti più moderati hanno svolto il ruolo di vettori, per garantire l’inclusione nel sistema delle forze estreme collocate rispettivamente «più a destra» o «più a sinistra».

Questo schema è saltato e per motivi non contingenti. Con tale affermazione non si vuole mettere in dubbio la capacità politica di Giorgia Meloni, già ampiamente dimostrata, né quella di Elly Schlein, ancora tutta da dimostrare. S’intende piuttosto sostenere che le loro virtù - vere o presunte che siano - stanno interagendo con un più generale mutamento dei processi politici. Oggi, infatti, e non soltanto in Italia, le forze più radicali e identitarie hanno conquistato il primato nei rispettivi campi di gioco. Ciò è accaduto, innanzitutto, perché il web - che è divenuto di gran lunga il principale veicolo di trasmissione del messaggio politico - privilegia contenuti semplici, chiari, privi di nuance, poco inclini a interpretazioni compromissorie. Nel mutamento ha influito, inoltre, la fine di partiti in grado di esprimere leadership collettive che rappresentavano di per sé un fattore di moderazione. E va infine considerato come l’elettorato attento più ai programmi che alle ideologie sia divenuto assai esigente: in mancanza di proposte nuove e dal forte contenuto valoriale (come è stata, ad esempio, quella che ha saputo interpretare Emmanuel Macron in Francia), preferisce «tirarsi fuori» per confluire nel grande partito dell’astensione.

Anche per questo, l’enorme spazio che si viene a creare tra due schieramenti polarizzati, come certamente vanno considerati quelli guidati da Meloni e Schlein, va considerato un territorio virtuale assai difficile da trasformare in spazio politico autonomo. Questi cambiamenti possono piacere o meno ma non possono essere ignorati. Con essi tutti dovrebbero farci i conti; anche quanti sono da essi palesemente svantaggiati. In passato le forze più radicali e identitarie, piuttosto che auto-escludersi, hanno preferito partecipare con ruoli minoritari alle rispettive coalizioni provando a condizionarle e, in qualche caso, a sfruttare rendite di posizione. Viene da chiedersi se oggi, a parti invertite, le forze moderate di destra e di sinistra non debbano imitare quell’esempio, evitando di confinarsi in uno spazio di centro «equidistante» che rischia di essere percepito come ininfluente, anche perché assai difficilmente potrà divenire maggioritario: soprattutto se non cambierà l’attuale assetto istituzionale e la legge elettorale. In politica svolgere un ruolo di testimonianza in alcuni casi è doveroso e qualche volta persino nobile. Alla lunga, rischia però di essere anche sterile.

Privacy Policy Cookie Policy