La riflessione

Il «bipolarismo» in Italia? Non ha mai funzionato ma la guerra riapre i giochi

Gaetano Quagliariello

Un sistema politico bipolare ben funzionante deve obbligatoriamente presentare due caratteristiche: una concentrazione del voto su poli tra essi alternativi (terzi e quarti «intrusi» possono anche esistere ma in posizione marginale); il riconoscimento reciproco tra gli schieramenti più forti, sicché l’eventuale scambio dei ruoli tra maggioranza e opposizione rientri nella fisiologia del sistema.

In Italia, nel corso del secondo tempo della Repubblica inauguratosi nel 1994, prima abbiamo avuto un bipolarismo senza legittimazione e poi nemmeno più quello. Dal 2013 il sistema si è sfrangiato e per circa un decennio non sono stati più i cittadini a scegliere i governi. La situazione con le ultime elezioni è cambiata ma solo parzialmente. Se, infatti, è vero che il centro-destra ha ottenuto una chiara maggioranza parlamentare, le opposizioni, di contro, si sono divise in tre tronconi tra loro antagonisti senza offrire per ora un’alternativa nemmeno potenziale.

Viene da chiedersi: questa realtà potrà evolvere in breve tempo? Si può immaginare il ritorno all’alternanza tra schieramenti contrapposti? Si può sperare che, in questo caso, non si producano guerre civili striscianti, seppure a bassissima intensità? Troppe variabili, a partire da quelle relative a possibili riforme degli assetti istituzionali e della legge elettorale, impediscono risposte certe. Al più si possono cogliere alcune linee di tendenza, anche al fine di evidenziare le occasioni che gli attori politici potrebbero eventualmente decidere di sfruttare o di lasciar cadere.

Le ultime elezioni regionali, in tal senso, ci forniscono alcune indicazioni. Sul versante del centro-destra i rapporti di forza si sono fissati con chiarezza: Fratelli d’Italia è risultato il partito egemone in tutto il Paese ma la sua vittoria non ha fagocitato gli alleati. Questi, anche al fine di giustificare la loro esistenza, certamente avranno bisogno di esprimere un certo tasso d’antagonismo. Non potranno, però, esagerare. Se la corda dovesse spezzarsi, dietro l’angolo non si troverebbe una nuova maggioranza bensì una crisi di sistema e sotto le macerie, con buone probabilità, vi rimarrebbero innanzitutto loro.

Sull’altra sponda, il Partito Democratico ha avuto un’affermazione percentuale andata oltre le aspettative. Ha respinto le Opa ostili dei 5 Stelle e dei centristi e ha dimostrato che, a rigor di logica, né rifondazioni né cambiamenti palingenetici si rendono indispensabili. Basterebbe ritrovare chiarezza strategico-programmatica e capacità aggregativa: programma «vasto» ma non sterminato.

C’è un elemento che va poi considerato più di ogni altro, anche se con esso avremmo preferito non confrontarci: gli effetti che sul sistema sta producendo il conflitto tra Russia e Ucraina. La scelta sulla guerra, infatti, non può essere degradata a mera convenienza tattica. Implica opzioni su valori di fondo, la condivisione di schieramenti internazionali, l’assunzione d’impegni che mettono in gioco lealtà e affidabilità. E per tutte queste ragioni, i suoi effetti sono destinati a non consumarsi in un attimo, anche se le armi dovessero tacere da domani.

La guerra ha tagliato trasversalmente il sistema e i suoi partiti ma - è un fatto - ha portato dalla stessa parte il maggior partito di governo e il maggior partito dell’opposizione. E questa circostanza conta molto di più di una gazzarra parlamentare, di un giudizio sulle qualità del Premier e, eventualmente, di un giudizio che domani potrà essere espresso sul capo delle opposizioni: se sul conflitto si è stati dalla stessa parte, almeno per un po’ sarà veramente difficile delegittimarsi a vicenda.

Se ci trovassimo in un Paese «normale» si sarebbe tentati, addirittura, di condividere qualcosa di essenziale, come seppero fare nel 1948 coloro i quali, pure, rispetto al conflitto internazionale di allora si erano schierati su opposti versanti; qualcosa che consenta poi di scontrarsi senza considerarsi nemici. Questa volta, a rigore, potrebbe essere persino più facile. Si tratta solo una occasione potenziale, niente di più per ora, ma se i risultati delle primarie del Pd dovessero consentire una guida senza condizionamenti, quell’occasione potrebbe incontrare lungo la strada una difficoltà in meno. 

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