La riflessione
Abbiamo tutti diritto all'uguaglianza anche in cure e servizi
Preliminarmente, vorrei evidenziare il rischio di una distorsione concettuale: i diritti sociali costituzionalmente garantiti come il diritto all’assistenza sociale, sanitaria e all’istruzione non possono essere confusi con i LEP.
In questi giorni il dibattito pubblico sull’autonomia differenziata e il correlato rischio dell’inasprimento delle disuguaglianze tra i cittadini e tra i territori è molto acceso. La mancata definizione dei Lep (Livelli Essenziali delle Prestazioni) e, cosa ancor più allarmante, la mancata individuazione delle risorse finanziarie finalizzate a garantirne la loro uniforme applicazione sull’intero territorio nazionale mette in crisi principi e valori della nostra Costituzione. Preliminarmente, vorrei evidenziare il rischio di una distorsione concettuale: i diritti sociali costituzionalmente garantiti come il diritto all’assistenza sociale, sanitaria e all’istruzione non possono essere confusi con i LEP.
I livelli essenziali delle prestazioni sono deputati a fornire delle mere risposte a dei bisogni e non ad affrontare e risolvere le cause che li determinano. Nel campo della sanità, ad esempio si corre il rischio di assistere alla disponibilità di un numero prestabilito e contingentato di prestazioni erogabili ma cosa succederà quando le prestazioni finanziate risulteranno esaurite e il cittadino bisognoso non potrà far valere il suo diritto ad essere assistito? Si rivolgerà al privato?
Sicuramente chi possiede i mezzi lo farà e gli altri, cioè la maggioranza dato il crescente tasso di povertà che si registra nel nostro paese, che faranno? Ed ecco entrare in gioco la privatizzazione dei servizi alla persona, una storia, questa, che affonda le sue radici nella globalizzazione o meglio nel globalismo che, attraverso la liberalizzazione dei mercati, alla fine degli anni Settanta, ha dato la stura al passaggio dal Capitalismo Industriale la cui formula era: produzione del denaro per mezzo della produzione delle merci; al «Finanzcapitalismo» la cui formula è: «Produzione del danaro per mezzo del danaro».
L’obiettivo è quello di trasformare ogni segmento del sistema vitale in una fonte di reddito estraendo e non producendo valore. Le negative ripercussioni che la liberalizzazione delle merci e soprattutto dei servizi avrebbero prodotto sullo Stato Sociale furono ben rappresentate dal filosofo francese Jacques Attali in una intervista rilasciata al giornale Le Monde, e pubblicata il 28 Luglio del 1999 su La Stampa, dal titolo: «Il filosofo Attali: la liberalizzazione dei servizi segnerà la scomparsa del modello sociale europeo – Anno 2002, fine dell’uguaglianza». Attali conclude così la sua intervista: «La questione è molto più grave di un negoziato commerciale. La liberalizzazione illimitata dei servizi a differenza di quella dell’industria può significare la fine delle nazioni, della democrazia, della politica. Si è voluto credere che la Storia sarebbe terminata con la vittoria congiunta della democrazia e del mercato. Senza vedere che in realtà, in quel momento cominciava la storia spietata della lotta del mercato contro la democrazia».
Il filosofo francese aveva visto giusto, i principi costituzionali della uguaglianza e della pari dignità tra le persone, l’elemento sociale della cittadinanza che Theodor Marshall, aveva identificato in tutta quella gamma di diritti che va da un minimo di benessere e di sicurezza economici fino al diritto a partecipare pienamente al retaggio sociale e a vivere la vita di persona civile, secondo i canoni vigenti nella società, stanno correndo pericoli molto seri. I pilastri istituzionali come il sistema scolastico e quello dell’assistenza socio-sanitaria che più degli altri hanno stretti rapporti con l’elemento sociale della cittadinanza sono sotto attacco.
L’autonomia differenziata, così come oggi è paventata, rischia di intaccare pesantemente l’operazionabilità dei diritti sociali costituzionalmente riconosciuti.
La posta in gioco è seria, molto seria l’arretramento dei diritti sociali, l’ineguaglianza delle condizioni materiali dei cittadini con la conseguente vanificazione dell’eguaglianza politica minano sin dalle fondamenta il sistema democratico.
Per contrastare questa deriva antidemocratica è indispensabile che la Politica Sociale riprenda quota e la redistribuzione della ricchezza (leggi anche seria lotta all’evasione) abbia come centralità il benessere di tutti i cittadini a partire dai meno abbienti, bisogna ricostituire quella socialità trasversale e comunitaria che partendo dalla dimensione locale possa far rifiorire il valore della democrazia. In questa direzione ritengo che anche il Servizio Sociale di Comunità possa svolgere un ruolo significativo.