Il commento

Sì, il Mezzogiorno può fare squadra non mordersi la coda

Antonio Troisi

Esistono le condizioni necessarie per questo impegno comune?

II Direttore della «Gazzetta» Oscar Iarussi nel suo lucido editoriale natalizio, sostiene la necessità di «fare squadra» fra le varie componenti della società meridionale per opporsi ai pericoli sul futuro del Mezzogiorno, derivanti dall’autonomia differenziata, sancita dall’ultima Manovra di Bilancio. Esistono le condizioni necessarie per questo impegno comune? A mio avviso sì per le seguenti ragioni:

1) Intorno a quale modello? L’art. 116 comma 3 della Costituzione, architrave della varata autonomia differenziata, deve essere interpretato tenendo conto che la riforma costituzionale del 2012 ha sostituito, dal 1/01/2016, la vecchia P.A. per Procedure, con la nuova P.A. per Risultati «che ha profondamente ristrutturato il rapporto Stato Enti locali. Non si misura più solo con l’osservanza della legge ma anche con la sostenibilità finanziaria, rispetto dell’equilibrio di bilancio e del concorso alla sostenibilità del debito pubblico. Pertanto detto articolo 116, ormai basato sulla nuova P.A. per Risultati, consente d’impostare il disegno di legge sull’autonomia differenziata solo in termini di sostenibilità finanziaria, diventata un dettato costituzionale dal quale non è possibile prescindere.

2) Precedenza all’eliminazione degli squilibri territoriali? Certamente, perché l’Italia ha il più alto debito tra i Paesi Ue dovuto agli eccessivi squilibri territoriali, determinati da una politica basata solo sulla spesa storica (più spendi più ottieni) e sull’indifferenza al concorso alla stabilità del debito pubblico. Detti squilibri interessano non solo li Sud ma tutto li Paese, come sostiene il PNRR.

3) Come si «mette a terra» detta eliminazione? Il nuovo rapporto Stato/Enti locali concilia il superamento degli squilibri territoriali con la stabilizzazione, affidando alla Regione il compito di leadership strategica del concorso dei diversi livelli di governo locale, alla realizzazione dello stretto nesso tra equilibrio di bilancio e concorso alla stabilità del debito pubblico. Da questa mediazione compensativa deriva un federalismo   municipale solidale ma responsabile, atto a determinare la riduzione dei divari territoriali, verificabile  sulla base di riscontri oggettivi. Tuttavia questo schema è rimasto sulla carta e per la mancanza di risorse finanziarie.

4) Fare squadra anche con il Nord? Con la nuova generazione di sindaci del Nord nati al Sud:  sindaci di Torino e  Firenze  ed in particolare il primo cittadino di Bologna   Virginio Merola, nato a Santa Maria Capua Vetere (Caserta). Con larghissimo suffragio confermato dai bolognesi sindaco ed anche eletto deputato. L’assessore  al Bilancio del Comune di Milano è campano, mentre  il consigliere delegato al bilancio della Città Metropolitana nonché sindaco di Bollate, è lucano. Pertanto la gestione dell’Area Metropolitana più importante  d’Italia, perché contribuisce  con il 10% al Pil, è affidata a due meridionali.

5) Chi paga il conto? L’irreperibilità nel bilancio statale delle risorse necessarie obbliga a ricorrere ai fondi del PNRR a carico della UE che, comunque, non li regala. Infatti i 122,6 miliardi rivengono da prestiti con l’UE che, tuttavia, l’Italia riceve a condizioni più vantaggiose di quelle che avrebbe potuto ottenere da sola. Se a questo basso costo si aggiunge il rinvio al 2028 per la restituzione, il maggior aumento di produttività della P.A., a seguito dell’attuazione della riforma, genererà, nel giro dei tre anni disponibili, i flussi di cassa aggiuntivi necessari per recuperare il contenuto costo del debito con l’UE. Dunque l’impegno comune consente al Mezzogiorno di alleggerire il pesante fardello del debito pubblico ed anche di evitare all’Italia di presentarsi all’appuntamento del rinnovo del trattato di Maastricht nelle peggiori condizioni, rispetto agli altri Paesi UE. Ne deriveranno, così, i margini per l’attribuzione di nuove competenze alle regioni, sempre in base al criterio della sostenibilità.

Infine, un’autorevole conferma dell’appello del Direttore della «Gazzetta» viene dalla storica elezione all’unanimità a sindaco di Bari di Vitantonio Di Cagno (dicembre 1946), avendo il consiglio comunale approvato la proposta del capogruppo della Democrazia Cristiana, prof. Michele Troisi. Rinunziare agli interessi elettorali per combattere insieme i comuni nemici: miseria, disoccupazione e ricostruzione di una Bari devastata dalla guerra. L’odierna Bari deve moltissimo a quella coraggiosa scelta che anticipò ,di ben 5 anni, la politica di Giorgio La Pira, sindaco di Firenze. Quell’impegno comune ha dato ottimi risultati. Perché non ripeterlo oggi a vantaggio di tutto il Mezzogiorno?

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