La riflessione

Manovra «prudente», i tutori del rigore possono accontentarsi

Salvatore Rossi

La finanziaria deve essere approvata dal Parlamento entro l’anno e affannosamente si moltiplicano emendamenti e subemendamenti elaborati dalla stessa coalizione di governo

La Legge di Bilancio (LB) per il 2023, la cosiddetta «finanziaria», è alla stretta finale. Ora sta girando per Commissioni parlamentari, deve essere approvata dal Parlamento entro l’anno e affannosamente si moltiplicano gli emendamenti e subemendamenti elaborati dalla stessa coalizione di governo. In una certa misura tutto questo è fisiologico e accade tutti gli anni, indipendentemente dalla natura e dal segno del governo in carica, quindi non deve scandalizzarci. Ma che cos’è una legge di bilancio? E come si annuncia questa, che sta per essere varata? Nella LB il governo fissa il modo in cui intende intervenire sul bilancio pubblico nell’anno che viene. Ricordiamo che il bilancio pubblico registra tutte le entrate e tutte le spese delle amministrazioni pubbliche, dunque ha una dimensione immensa: in Italia assorbe circa metà del prodotto interno lordo.

Normalmente un governo, nello stabilire la sua politica di bilancio, parte dalla coda, cioè dal saldo finale. Questo dovrebbe essere il suo obiettivo macroeconomico fondamentale. Notiamo di passata che il saldo finale è invariabilmente negativo, cioè le spese dell’anno eccederanno comunque le entrate: è così da tempo immemorabile, ed è così in tutti i principali Paesi del mondo, anche se teoricamente potrebbe non essere così. Il criterio per fissare la misura del deficit, se grande o piccolo, dovrebbe essere la situazione generale dell’economia: un grande deficit sostiene un’economia che stenta e viceversa. In realtà questo criterio è in Italia quasi dimenticato da molti anni. Il governo nel fissare l’obiettivo di disavanzo tiene invece d’occhio due pericolosi guardiani: la Commissione europea e i mercati finanziari.

Entrambi sono costantemente preoccupati che il disavanzo italiano possa essere eccessivo e hanno poderosi strumenti per punire un governo noncurante dei loro avvertimenti: la Commissione ha complesse procedure che possono arrivare fino a imporre salatissime multe al Paese cicala, i mercati hanno il famigerato spread. Quindi il disavanzo viene normalmente stabilito dai governi italiani al massimo livello compatibile con una irritazione dei due controllori che rimanga sotto il livello di guardia. La bozza di LB 2023 attualmente in discussione fissa il disavanzo pubblico dell’anno prossimo al 4,5% del PIL. Se ne progetta quindi una discesa, dal 5,6 di quest’anno e dal 7,2 dell’anno scorso, dati peraltro influenzati dal contrasto agli effetti della pandemia, che vanno riducendosi. Si poteva essere più ambiziosi nel disegnare la traiettoria di discesa post-Covid? Forse, ma i tutori del rigore possono accontentarsi.

Tuttavia ciò che interessa di più a un governo che prepari la legge di bilancio per un determinato anno è di quante risorse possa disporre in più rispetto al saldo fra quelle entrate e quelle spese a cui è tenuto per via delle leggi vigenti. Risorse in più ricavabili anche da eventuali modifiche delle leggi vigenti. Per il 2023 la bozza di LB attualmente in discussione limita queste risorse aggiuntive a poco più dell’1% del PIl, circa una ventina di miliardi, prevalentemente impiegati nel prolungare misure volte ad alleviare gli effetti dei rincari energetici. Nel 2024 e nel 2025 non vengono sostanzialmente previste risorse aggiuntive. Una scelta prudente, data la grande incertezza che circonda le prospettive macroeconomiche e gli spazi risicati del bilancio stesso.

Il combinarsi delle previsioni di PIL (peraltro simili a quelle dei principali previsori) e degli obiettivi per il disavanzo pubblico nel 2023 produce un rapporto debito pubblico/PIL che si ridurrebbe dal 147% di quest’anno a poco più del 145 l’anno prossimo. È essenziale che questo rapporto scenda, serve a non far salire troppo le ansie dei guardiani di cui sopra. Riflette la determinazione del governo a riportare verso binari più sostenibili una finanza pubblica fortemente squilibrata dalla necessità di compensare i disastrosi effetti economici della pandemia.

In complesso, i risultati numerici complessivi della manovra di bilancio ora all’esame del Parlamento non sono granché criticabili da un punto di vista tecnico. Altro e più complesso discorso va fatto per le singole misure che mettono capo a quei saldi finali. Ad esempio, la Banca d’Italia, in una recente audizione parlamentare di un suo esponente di punta, si è soffermata su due aspetti in particolare, alcuni interventi in materia di tassazione (su tutti la cosiddetta flat tax «incrementale») e alcuni altri interventi in materia di strumenti di pagamento (la soglia minima per l’utilizzo dei POS), criticandoli severamente, pur col linguaggio felpato tipico di quella Istituzione. La critica era tecnica, tuttavia la scelta delle singole misure di bilancio è squisitamente politica. Questo è un caso in cui la distinzione fra le due dimensioni - tecnica, politica - tende a offuscarsi. Mettiamola così: il ruolo dei tecnici è mettere in chiaro le conseguenze inevitabili di una determinata scelta politica, che i responsabili di quella scelta possono non vedere. Mi pare che questo abbia fatto la Banca d’Italia criticando quelle misure.

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