L'editoriale
La «via» mediterranea e l'Africa del futuro: Roma sia in prima linea
L’intervento al meeting dell’ISPI, non solo dichiara la volontà del governo di muoversi nel solco della tradizionale opzione europeista e atlantista ma sottolinea anche l’opzione mediterranea, talvolta dimenticata, coerente con la nostra vocazione geopolitica
Può anche essere che movente del discorso della Presidente Meloni sul Mediterraneo debba essere rintracciato nell’intento securitario, legato alla vicenda migratoria e alla molto citata ma tanto irrisolta riforma del Regolamento di Dublino sulla distribuzione dei flussi di «asilanti» dall’Africa, ma dobbiamo convenire che il contenuto - citazione di Mattei compresa - è assolutamente condivisibile.
L’intervento al meeting dell’ISPI, non solo dichiara la volontà del governo di muoversi nel solco della tradizionale opzione europeista e atlantista ma sottolinea anche l’opzione mediterranea, talvolta dimenticata, coerente con la nostra vocazione geopolitica. L’Italia ha un grande ruolo da svolgere nel Mediterraneo, per la sua capacità d’interazione con i popoli del continente africano, per la tradizione dialogica imbastita dai governi democratici e dall’impresa italiana con i paesi del Magreb (e non solo) e con le istituzioni culturali dell’intero bacino, in una dimensione che va ben oltre il contenimento dei flussi migratori verso l’Europa, ma si proietta in chiave di promozione dello sviluppo del continente africano.
L’Italia, inoltre, è in grado di svolgere questo ruolo producendo effetti positivi per l’intera UE, che mostra spesso di non avere adeguata consapevolezza della necessità storica, politica ed economica di un’interazione con questo quadrante del mondo così legato alla storia e alle sorti del vecchio continente, abdicando ad un ruolo che oggi sembra, per alcuni aspetti, essere svolto dalla Cina.
Esistono due fondamentali problemi di approccio culturale nel rapporto tra Europa e mediterraneo meridionale: il primo è quello assistenzialistico. Il secondo quello predatorio. Pur non avendo, ovviamente, un registro etico comparabile, i due approcci lasciano i popoli con cui si realizza l’interazione incapaci di autodeterminarsi verso lo sviluppo. In realtà ciò che manca è un serio progetto di formazione delle élite. Perché tra i maggiori problemi che affliggono l’Africa, condannandola ad una condizione di sottosviluppo endemico, c’è spesso la mancanza di una classe dirigente, di una dorsale di «servitori dello Stato» in grado di fornire un orizzonte strategico agli Stati. E questa difficoltà, che si legge sia nell’apparato pubblico che nella rappresentanza politica, non riesce a trovare strumenti interni di superamento a causa dell’insufficienza delle strutture di alta formazione locali.
In particolare si avverte la mancanza di una classe di funzionari pubblici, soprattutto a livello apicale, in grado di garantire la continuità dell’ordinamento, mettendolo al riparo dai bruschi cambi di regime che hanno spesso caratterizzato la vicenda politica ed istituzionale di paesi del continente. Ecco allora uno spazio d’intervento necessario che potrebbe vedere l’Italia protagonista: l’istituzione di una scuola superiore della Pubblica Amministrazione Mediterranea, sul modello delle écoles francesi, con l’obiettivo di formare la nuova classe dirigente africana, promuovendo collaborazioni tra università e centri di alta cultura, senza tentazioni di colonizzazione culturale ma accogliendo forme di osmosi tra esperienze diverse, avendo a modello, tuttavia, un’ idea di amministrazione pubblica di stampo europeo.
Una piccola esperienza di successo su questa traccia c’è stata a Bari: a partire dagli anni ‘60, l'Istituto Agronomico Mediterraneo eroga alta formazione post-universitaria nel settore agronomico con la partecipazione di giovani provenienti da 13 Paesi mediterranei europei ed extraeuropei. L’esperienza ha funzionato: diventa sicuramente più facile capirsi e collaborare se si fa riferimento a culture scientifiche e a esperienze umane condivise. A Bari quell’Istituto lo volle Moro, uno statista che certamente sapeva dialogare con la sponda sud del Mediterraneo e conosceva pure il valore della formazione e delle competenze.