Il commento

Politiche culturali fondamentali per il nuovo governo

Fabrizio Tatarella

È mai esistita in Italia una cultura di destra? Esiste in italiana un pensiero conservatore in grado di fornire risposte alle tante domande imposte dalla crisi del mondo moderno e, in particolare, dell’Occidente?

Per anni, sbagliando, la sinistra ha sostenuto che in Italia non esiste una cultura di destra. Dopo averne impedito la legittimazione politica e il diritto stesso della destra ad esistere, la cultura dominante di sinistra nel nostro Paese ha sempre asserito che temi come le politiche culturali, l’ambiente sono esclusivo appannaggio del mondo progressista.

Oggi con una forza di destra che ha vinto le elezioni politiche, la destra italiana deve dimostrare di essere in grado di proporre un modello culturale alternativo. Non esistono più le scuole di partito, le sezioni dove si costruiva il pensiero politico e dove si selezionava una classe dirigente adeguata, sostituiti, oggi, da Fondazioni, think thank, riviste.

Recentemente abbiamo assistito a partiti che sono cresciuti rapidamente (Pd, Movimento 5 Stelle e Lega) e che altrettanto rapidamente sono ritornati a percentuali più modeste, proprio perché il loro progetto politico è finito con il collassare sul piano culturale.

La destra di Giorgia Meloni, in questo senso, ha un duplice vantaggio: non solo è cresciuta lentamente e con coerenza, ma ha Fondazioni e presidi culturali di cui altri erano privi. Al netto della crisi energetica, della crisi economica e della guerra in Ucraina, la cultura sarà una delle sfide principali del nascente governo Meloni se vorrà lasciare un segno profondo nel retroterra culturale e sociale della nuova Italia.

È mai esistita in Italia una cultura di destra? Esiste in italiana un pensiero conservatore in grado di fornire risposte alle tante domande imposte dalla crisi del mondo moderno e, in particolare, dell’Occidente? Giuseppe Prezzolini, padre del conservatorismo italiano, nella sua «Intervista sulla destra» sosteneva che «in Italia esistono scrittori conservatori, non esiste una cultura conservatrice. Esistono politici conservatori, non esiste un grande partito conservatore. I conservatori – intellettuali e politici – sono dispersi fra la destra, il Centro e anche il Centrosinistra».

Il nostro Paese ha avuto un complicato rapporto con il conservatorismo poiché, a differenza di altri paesi europei, non si è sviluppato un organico pensiero conservatore sfociato in un preciso progetto politico come annota Armando Torno ne «Il paradosso dei conservatori».

Mentre in altre nazioni gli avversari politici dei partiti conservatori sono socialisti e non comunisti, in Italia la presenza del Pci, il più forte partito comunista dell’Europa occidentale, ha portato l’elettorato conservatore a scegliere il male minore, turandosi il naso e votando Dc, mentre altri voti conservatori, soprattutto al Sud, sono confluiti nel Msi.

La rivoluzione conservatrice italiana è la perfetta sintesi di due istanze: il cambiamento e il recupero del patrimonio storico e civile della nazione. Anche Vincenzo Cuoco nel suo «Saggio storico sulla rivoluzione di Napoli» nel definire il carattere della rivoluzione conservatrice, afferma che il concetto chiave è «innovare conservando». Il vero conservatore, però, intuisce che a problemi nuovi occorre dare risposte nuove, ma sempre ispirandosi ai principi permanenti.

In sintesi, in un momento storico in cui l’Occidente e i suoi valori sono sotto attacco, spetta a una politica culturale di stampo conservatore riportare nell’opinione pubblica confusa i valori condivisi che sono alla base del conservatorismo. Non a caso costruire e custodire sono i due verbi che una vera cultura conservatrice italiana deve declinare sempre.

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