L'analisi
Apocalissi e catastrofi, ormai l’umanità sceglie di «disconnettersi»
«Tutti noi siamo sull’orlo di un disastro nucleare a causa della cattura della centrale nucleare di Zaporizhzhia da parte delle truppe russe...».
Il presidente ucraino Volodymyr Zelensky interviene al vertice di Praga e dipinge scenari che alimentano una antica paura.
Gli fa eco il presidente degli Stati Uniti, Joe Biden, parlando a New York nel corso di un evento per raccolta fondi: «Per la prima volta dai tempi della crisi dei missili a Cuba c’è la minaccia di un Armageddon nucleare... Putin non scherza quando parla del possibile uso di armi nucleari, chimiche o biologiche, perché il suo esercito è in difficoltà».
Suggella la querelle il ministro per gli esteri russo, Lavrov: «Quando parliamo di sicurezza ambientale, non possiamo mettere a tacere l’intensificarsi delle discussioni sul possibile uso di armi nucleari, soprattutto a questo proposito [non possiamo] ignorare le azioni sconsiderate del regime di Kiev, che mirano a creare rischi di utilizzo di vari tipi di armi di distruzione di massa». Tre dei protagonisti di primo piano del conflitto russo-ucraino agitano l’avvento dell’Armageddon, il luogo dove si radunerebbero e si scontrerebbero, alla fine dei tempi, tutti i re della terra per la battaglia finale tra gli stessi (incitati da Satana) e Dio, tra il Bene e il Male. È la catastrofe stessa che, da minaccia futura e sospesa, si palesa come il presente possibile di una Apocalisse.
L’ Apocalisse ha aleggiato dalla notte dei tempi sull’uomo, paura di una punizione che non lo ha mai abbandonato e che poi, con le tragedie della Seconda Guerra mondiale, si è inverata nella Guerra fredda e nelle tragedie della storia. Ma è stata pur sempre vissuta come possibilità e come esperienza di una fine, di un esito dell’umanità da scongiurare.
Oggi invece è uno scenario quasi consueto, nel quale noi viviamo e operiamo, assuefacendoci. Altri pericoli, come gli attentati alla libertà di espressione e la negazione dei diritti umani (vedi quello che sta accadendo in Iran), sono sentiti come più diretti, immanenti.
Rischiamo una nuova guerra nucleare? O quelle che si agitano sono soltanto le prove delle scene di una tragedia che resterà sempre sullo sfondo? La domanda attiene al terribilmente reale della politica e diplomazia, apre interrogativi sulla nostra stessa capacità di sopravvivenza e, fuori della pace, non può trovare altre risposte.
Ma pur permangono gli interrogativi che dobbiamo porci sulla tiepida risposta che questa paura attuale trova nelle nostre reazioni. Ci terrorizza ancora il nucleare e che cosa sedimenta? Insieme alle altre atrocità del presente, anche la paura nucleare è solo una delle opzioni di vita che si parano ai nostri occhi.
Ai quali tuttavia sembra che abbiamo per il momento escogitato la risposta delle vie di fuga: si chiama «disconnessione selettiva» ed è la capacità della mente di selezionare e discriminare le notizie orribili da quelle buone, obliando le prime. Non che fosse una novità questa capacità della mente di «dimenticare», ma quello che conforterebbe è l’uso che possiamo farne.
Fino ad oggi ci avevano insegnato che la comunicazione era tarlata dalla polluzione digitale e dalla diffusione non solo di roboanti notizie ma anche di notizie false. Quantità e falsità implicavano assuefazione, indifferenza.
Oggi scopriamo che la mente è comunque operosa e che moltiplica le sue difese distinguendo e catalogando. Il Report del Reuters Institute, il Digital News Report 2022, con dovizie di dati tratta della disconnessione selettiva, che rappresenta un fenomeno mondiale. In America 4 persone su 10 vogliono essere disinformate sulle cattive notizie.
Le crisi politiche, i conflitti internazionali, le pandemie globali e le catastrofi climatiche ci stanno allontanando dalle notizie, soprattutto tra coloro che sono più giovani o più difficili da raggiungere.
Si legge nel report che la percentuale di consumatori che afferma di evitare le notizie, spesso o talvolta, è aumentata notevolmente in tutti i paesi. Questo tipo di evitamento selettivo, questo schivare il peggio, perché si è stanchi o diffidenti, non è di per sé la via più democratica. Se togliamo il velo alla velenosità dell’informazione, allo stesso tempo si riapre il rischio dell’addormentamento.
In fondo, cosa cambio se mi assuefaccio o se rimuovo la connessione? Dobbiamo quindi provare a tarare ulteriormente l’attenzione perché l’autolavaggio delle notizie non contagi anche la fucina delle idee, la sola dove possono nascere visioni e pensieri per un futuro diverso e costruttivo, non turbato dalla sempiterna minaccia nucleare.