La riflessione
Fascismo e «ombre»: ora puntiamo su chi affronterà le crisi
Resta il fatto che nonostante i cento anni trascorsi, la politica italiana si mostra ancora ingessata nel suo passato
I libri di storia indicano il 28 ottobre 1922 come la data ufficiale della cosiddetta «Marcia su Roma». In realtà Mussolini, che seguiva da Milano i disordini provocati dalle squadracce fasciste, nella capitale arrivò comodamente in treno la mattina del 30 ottobre per ricevere dal re l’incarico di formare un nuovo governo. Vittorio Emanuele III aveva infatti rifiutato di controfirmare lo stato d’assedio proclamato dal presidente del Consiglio dei ministri, Luigi Facta, e che avrebbe permesso all’esercito di intervenire.
Sappiamo come poi andarono le cose. A un secolo esatto da quei fatti il fascismo resta il tema centrale della campagna elettorale entrata ormai nel vivo. E per uno di quei paradossi che la storia si diverte a creare alle spalle degli uomini, proprio nei giorni fra il 28 e il 30 ottobre potrebbe esserci l’insediamento del nuovo governo. A meno di clamorosi sconvolgimenti politici, con altrettante clamorose smentite ai sondaggi, presidente del Consiglio dovrebbe essere Giorgia Meloni, orgogliosamente di destra e prima donna a Palazzo Chigi.
La ricorrenza delle date apre le porte alle più svariate fantasie e nostalgie che il rutilante popolo «social» non mancherà di produrre e riprodurre. Al di là di questo, però, resta il fatto che nonostante i cento anni trascorsi, la politica italiana si mostra ancora ingessata nel suo passato. Se era comprensibile che durante la Prima Repubblica tenessero banco i temi del ritorno del fascismo, del comunismo e dell’atlantismo, oggi davvero risultano inattuali per affrontare una campagna elettorale. Nonostante la ricchezza e la gravità di molte questioni – dall’ambiente al Covid, dalla crisi energetica alle nuove povertà, dal disagio giovanile al lavoro che non trova lavoratori – ogni discorso e ogni confronto politico va a sbattere proprio su fascismo, comunismo e atlantismo. Alla Meloni si continua a chiedere un’abiura netta e decisa, più di quanto non abbia già fatto, verso fatti e persone del Ventennio. In molti temono che dalla Russia post-comunista, con una mai sopita passione per le dittature, vi siano intromissioni nelle elezioni per utilizzare l’Italia come cavallo di Troia in Europa. E in verità sulla repentina fine del governo Draghi qualche manina – o qualche manona, come replicò Andreotti a Craxi – Mosca l’ha messa. Infine l’atlantismo, cioè la fedeltà dell’Italia al Patto atlantico, che è innanzitutto progetto politico a guida Usa, ma che comporta l’adesione alla Nato, cioè l’impegno militare a difendere i confini dei Paesi aderenti. Un tema vivo alla fine degli anni ’40, quando l’espansionismo dell’impero sovietico generò molte paure nel blocco occidentale, ma tornato di grande attualità dopo l’invasione dell’Ucraina da parte dell’esercito russo.
Ora, che gli italiani s’informino e discutano del dna ideologico di chi con ogni probabilità dovrà decidere del loro futuro nei prossimi mesi è cosa buona e giusta. Ma non può essere più questo il fattore dirimente alla base della propria scelta sulla scheda elettorale. Alle precedenti Politiche del 2018 il Movimento 5Stelle fece il pieno di consensi catalizzando il voto di protesta. Abbiamo però poi visto e subito la mancanza di idee, di competenze e di cultura politica.
Il voto «di pancia» difficilmente crea governi all’altezza. Il momento attuale, segnato da una crisi economica globale in cui rischiamo un inverno a lume di candela, dovrebbe spingere leader e candidati a parlare di questi problemi e gli elettori a tampinarli. Sarà pure interessante ascoltare la Meloni che dice finalmente parole chiare su Mussolini e fascismo, ma è ancora più interessante sapere se e come nei prossimi mesi potremo cucinare e riscaldarci; se e come far fronte alla gravissima penuria di manodopera che sta spingendo molti imprenditori a chiudere baracca; se e come affrontare le pecche del sistema sanitario emerse nella fase pandemica e che ora rischiano di esplodere, vista la resilienza del Coronavirus.
Insomma, servirebbe parlare un po’ più dei programmi che si vogliono realizzare e di come sfruttare la positiva onda lunga creata dal governo Draghi. In occasione dell’anniversario del terremoto ad Amatrice, il commissario straordinario per la ricostruzione, Legnini, ha lanciato un appello alle imprese ad andare a lavorare nel Centro Italia: ci sono opere finanziate – ha detto – ma non c’è gente per lavorare. È un paradosso che l’Italia non può permettersi e men che mai in questo momento. Berlusconi torna a proporre il ponte di Messina, l’araba fenice che rinasce a ogni tornata elettorale, ma con questa situazione lo potranno costruire solo aziende straniere.
Anche al meeting di Rimini, l’unico appuntamento politico di base sopravvissuto e che ha riunito tutti i big dei partiti, il ritornello è stato lo stesso. La giornata è scivolata sui temi del fascismo, dei rapporti con la Russia putiniana, della premiership alla Meloni. Sono però arrivati i fischi a Letta quando ha proposto di allungare la scuola dell’obbligo. Significa per caso che, nonostante tutto, preferiamo crogiolarci ancora nelle vicende di un secolo fa?