il commento

Vergogna caporalato, Paola Clemente ancora senza giustizia

Enrica Simonetti

Processo rinviato di un anno

Paola Clemente: non dimenticate il nome di questa donna, perché lo sentirete ancora pronunciare. Ascolterete voci indignate per la povera vittima del caporalato, voci indignate per il processo che – si è saputo ieri – viene rinviato ancora di un anno, voci cariche di promesse su un futuro che viene invocato in suo nome e mai realizzato. Sì, il Sud e l'Italia intera sono ancora terra di caporali e la lotta tanto sbandierata, spiace dirlo, è ancora in alto mare. Paola Clemente era una donna pugliese di 49 anni che è morta per troppo lavoro sotto l'umidità inarrestabile di un tendone in campagna e sotto una cappa di silenzi e omertà che aveva permesso a qualcuno di utilizzare le sue braccia per ore e ore, con la ricompensa di una manciata di euro e nessun diritto.

Una bracciante agricola. Viviamo mondi solo apparentemente contigui e le storie dei braccianti – italiani o migranti - «deportati» e sfruttati nelle campagne ci sembrano distanti. E invece il Medioevo ci avvolge. Migliaia di lavoratori come Paola: donne, immigrati, persone che ogni notte hanno un «capo» a condurli nei campi su un pulmino, attraversando chilometri di strade piene di curve e vuote di umanità.

Così partiva anche lei, Paola, ogni notte alle tre, da San Giorgio Jonico verso Nord, verso quelle campagne tra Canosa e Andria, profumate di uva dorata dal sole. Pensate, 150 chilometri ogni volta, 300 in tutto ogni giorno, dopo 7 ore almeno di lavoro, con le braccia alzate, con quegli acini d'uva da selezionare sotto il tendone infuocato dal sole che sfioravano il viso di Paola e degli altri. Il destino ha voluto che proprio l'anniversario della sua morte fosse accompagnato dalla notizia della (in)giustizia lenta, da questo rinvio di un processo così atteso: Paola morì il 13 luglio del 2015, esattamente in un luglio bollente di sette anni fa, tanto simile a questo. La sua fine, l'inchiesta, il calendario della cucina su cui segnava con la parola «giornata» quelle ore in cui era stata presa al lavoro, ore che ovviamente non corrispondevano alla busta paga, leggera come una piuma. Pare ora che l'ascolto dei testimoni e altre necessità burocratiche abbiano di fatto provocato il rinvio del processo. Con gli anni che passano e il mondo che cambia, con la frutta che a volte resta a terra e con la manodopera che ora (pare) non si trovi più.
E «Mai più» si diceva a gran voce quando emerse la storia di Paola, diventata poi una figura-simbolo della lotta al caporalato: di leiu restano il nome e la foto, peccato che manchi proprio la lotta. Sull'onda del suo caso tragico, ci furono tanti provvedimenti, compresa l'attesa legge, nacquero le commissioni, le prese di posizione, le promesse di trasporti pubblici che avrebbero evitato il «mercato» dei pulmini. Ma il mercato umano, nonostante tutto, prosegue: le leggi sono molto più severe, i controlli nel Far West fascinoso della campagna pugliese ci sono, sindacati e istituzioni si mobilitano di continuo... ma pure i caporali sono sempre lì. A contare gli schiavi.

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