il commento

Se la prima vittima della caduta di Draghi è proprio il Sud

Lino Patruno

Così si acuisce la malattia di una democrazia rappresentativa che non rappresenta più

Mettiamo che ci sia un’inflazione che si divori ogni giorno i soldi degli italiani. Mettiamo che il Covid non ci risparmi neanche nell’estate meno propizia a ogni virus. Mettiamo che il prossimo inverno dovremo stare un po’ più al freddo e un po’ più al buio. Mettiamo che la guerra in Ucraina continui e non ci arriva neanche il grano. Mettiamo che uno stipendio su tre sia sotto i mille euro al mese. Mettiamo che anche un terzo dei pensionati non raggiunga i mille. Mettiamo che abbiano da noi un lavoro il dieci per cento in meno di persone rispetto al resto d’Europa. Mettiamo che nonostante questo non si trovino lavoratori adatti a chi li cerca. Mettiamo che due milioni e mezzo di ragazzi non studino, non lavorino, non seguano corsi di formazione. Mettiamo che il debito pubblico schizzi e ancor più lo faranno gli interessi visto che l’Europa deve farli salire. Mettiamo che salga anche il pericolo che i mercati non abbiano più fiducia nell’Italia. Mettiamo che non la abbia neanche l’Europa che dovrebbe creare per noi una rete di protezione speciale. Mettiamo che mai nella storia del Paese si fosse scesi, come nello scorso gelido aprile, sotto i mille nati al mese e oltre 2 mila morti.

Mettiamo. Mettiamo che come sempre (e non solo in una crisi) a soffrire di più sia la parte più debole della popolazione e del Paese. Mettiamo che questa parte più debole sia il Sud. Mettiamo che rischino di fermarsi i progetti avviati col Pnrr (Piano di ripresa e resistenza). Mettiamo che l’Europa blocchi i 291 miliardi in mancanza delle riforme concordate con noi. Mettiamo che i ritardi non ci facciano rispettare il limite del 2026 per fare tutto ciò che serve appunto alla ripresa. Mettiamo che anche i fondi europei per la coesione e lo sviluppo appena arrivati subiscano uno stop. Mettiamo che non venga prorogato lo sconto retributivo per le imprese che operano al Sud. Mettiamo che anche la mobilitazione generale del Paese per evitare in questo momento una crisi di governo non riesca a evitarla. Mettiamo che il Parlamento non parli la stessa lingua del Paese e faccia come se il Paese non esistesse. Mettiamo che così si acuisca la malattia di una democrazia rappresentativa che non rappresenta più.

Mettiamo che lo sconcerto dell’Europa e del mondo non fosse sufficiente per scongiurarlo. Mettiamo che l’Italia perdesse il suo uomo più rappresentativo e stimato. Mettiamo che non fosse necessario uno psicodramma perché in fondo le prossime elezioni ci sarebbero state nella prossima primavera. Ma mettiamo che tutto questo sia avvenuto come nei peggiori romanzi catastrofisti, come nelle peggiori serie tv. Essendo invece avvenuto in una torrida giornata di luglio, quando si sperava che facesse troppo caldo perché avvenisse. E quando si sperava che da statisti si pensasse più al bene del Paese che alla campagna elettorale. E che non si rischiasse di arrivare nudi di fronte a un autunno terribile. Rispettando la sacralità delle elezioni ma anche il sentimento collettivo, il comune sentire, e non solo la pancia e i sondaggi.

Ma ci deve essere un motivo se questo Paese tanto pieno di risorse sia sempre anche tanto capace di farsi del male. Un Paese che non sembra mai cementato da un «daimon», un destino di ciascuno e di tutti che resista alle divisioni e ai conflitti. Da dove veniamo e dove andiamo. In un rivolgimento globale che ha fatto troppo puntualmente dire a Putin: «Si apre una nuova era nella storia del mondo. Solo Stati davvero sovrani avranno alti tassi di crescita». Chissà perché non il suo. Ma facendo sospettare un suo congruo zampino nel 20 luglio nero italiano (mentre anche il premier inglese si dimette in un quadro molto meno apocalittico ma con la disperazione ucraina). E facendo dire che tutto quanto è la dimostrazione che Putin stia vincendo anche se non ancora sul campo di battaglia.

Nelle 161 righe e 15 mila battute del suo discorso in Senato, Draghi ha dedicato 21 parole e 131 battute al Sud. Prima per dire che il Pnrr è una occasione unica per «sanare le diseguaglianze a partire da quelle tra Nord e Sud». Poi per aggiungere che fra gli impegni che il governo avrebbe preso ci sarebbe stata «la discussione per il riconoscimento di forme di autonomia differenziata» (autonomia a favore del Nord che per la prima volta sarebbe entrata in un programma governativo). Per il Sud non c’è mai limite al peggio. Compreso quello di veder svanire anche il poco (più promesso che fatto) per non negargli più diritti ad altri riconosciuti. Per non essere trattato da diverso. Per non continuare con una ingiustizia che fa male all’intera Paese e alla sua dignità. «Piangi, che ben hai donde, Italia mia» (Giacomo Leopardi, 1818).

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