Storie

L'eterna partita doppia del mediano «roccioso» Franco Cassano

Enzo Augusto

Un libro importante e il ricordo del sociologo quando ai tempi del ginnasio giocava al calcio in grandissimi cortili


Con l’età mi sono esercitato in quelli che, in gergo giornalistico, si chiamano «coccodrilli». Noticine sulle persone scomparse.
Ho ricordato amici in cerimonie funebri, ho scritto articoletti, ne ho scritto privatamente ai congiunti, ma con Franco Cassano non ci ho mai provato. Per il forte coinvolgimento emotivo, credo, ed anche per una sorte di ritrosia e di pudore nel trattare di rapporti personali. Perché questi sono stati. Ma è ormai passato un anno. E c’è stata la commemorazione pubblica e partecipata al Teatro Margherita.

Il Rettore ha annunciato che sarà dedicato a Franco l’edificio dell’Università in Corso Italia. Ho chiesto conferma a Luciana, sua moglie, (anche con lei ci conosciamo da ragazzi, spiaggia del circolo ufficiali etc) che Franco avesse vissuto a lungo in corso Italia. E Luciana mi ha confermato che ci era rimasto fino a 16 anni, in uno di quei bellissimi palazzi per i dipendenti delle Ferrovie dello Stato (suo nonno lo era).

È lì che l’ho conosciuto, a giocare a pallone in quei grandissimi cortili. Avevamo meno di 16 anni, quindi, i pantaloni corti, il ginnasio.

Col calcio abbiamo poi continuato. La fotografia che allego è la squadra della facoltà di giurisprudenza ai campionati universitari di calcio. Siamo in alto, a sinistra.

Franco è riconoscibilissimo, mediano roccioso e di quantità (mentre nella vita avrebbe eccelso in qualità). Spero di essere riconoscibile anch’io, ala tornante, come si usava a quei tempi, sulla sinistra, essendo ambidestro.
Poi abbiamo continuato a frequentarci saltuariamente. Incontri per strada, casa di amici, riunioni in occasioni varie. Era diventato docente universitario. Ma molti amici lo erano diventati (anche quelli che portavano tre materie a settembre sono poi andati, meritatamente, in cattedra). Scriveva libri. Ma molti amici ne hanno scritti e ne scrivono. Ne ho tantissimi, con dediche o no. Luciano Canfora occupa un intero scaffale. Opere spesso notevoli.

Finché mi sono imbattuto in «Partita doppia» (ed. Il Mulino 1993) e ho capito che si trattava di un’opera importante di altro e alto livello. Per me il suo miglior libro. Ed anche l’ultimo punto di contatto con lui.

Verso la fine del 2020 e inizio del 2021 stavo scrivendo una recensione cinematografica, e volevo citare il «cameriere di Hegel». Mi venne voglia di parlarne con Franco. Al telefono mi rispose Luciana, e parlammo di Partita doppia. Mi disse che Franco stava male. Ma qualche ora dopo mi chiamò lui. Respirava affannosamente. E parlava a fatica. Ci salutammo con Partita doppia. Dopo qualche settimana arrivò la cattiva notizia.

Negli anni ‘60 collaborammo insieme nell’U.G.I., l’Unione Goliardica Italiana, raggruppamento che comprendeva studenti universitari PCI, PSI e radicali.

Io ero il segretario e lui, con Silvio Suppa, i dirigenti. Fu lì che ebbe il primo approccio con la politica organizzata.
Poi ha spiccato il volo. Dopo «Partita doppia»che per me resta il punto più alto, una carriera importantissima.
Abbiamo sempre continuato a vederci ma, adesso che ci faccio caso, non abbiamo mai parlato di cose serie. Qualche accenno ai suoi libri, ma scherzandone. Parlavamo di calcio (tutti conoscono la sua passione e la sua conoscenza dell’argomento), di amici, di canzoni (non tutti, credo, sanno della sua conoscenza della canzone popolare. Non la spocchia di chi vede Sanremo per una critica intellettualistica, ma un’adesione all’aspetto popolare del genere). Parlavamo della famiglia e dei tempi andati (ammesso e non concesso che queste non siano «cose serie»).

Adesso «La contraddizione dentro» a cui mi accosto con rispetto e commozione.

Credo che torni ai temi di «Partita doppia».

Enuncia la tesi, la smonta, la rimonta. Coglie la contraddizione interna e la interpreta.

E la considerazione finale che Alessandro Laterza cita nella prefazione «La coscienza infelice non è uno stadio da superare, ma una condizione permanente di tensione, è la consapevolezza che l’unico modo per andare avanti è avere la contraddizione dentro senza farsene travolgere».

Nella premessa Franco si interroga sul pensiero della fine. Luciana conferma che non voleva essere dimenticato. Di questo può essere certo, e lo siamo tutti. Franco non lo dimenticheremo e vivrà nelle sue opere. È questa l’immortalità dei grandi.

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