Cerved
Il caro-energia fa rallentare la crescita delle Pmi pugliesi
Il rapporto Confindustria: va giù del 4% il fatturato. L’allarme di Fontana: fare presto
Uno scenario critico e incerto anche per le pmi della Puglia quello tracciato dal «Rapporto Pmi Mezzogiorno 2022», a cura di Confindustria e Cerved, presentato ieri a Roma. La diffusione della pandemia, infatti, ha interrotto la lenta ripresa delle PMI italiane che nel 2020 hanno visto calare i loro fatturati dell’8,6%, per quelle pugliesi del 4%. In particolare dal rapporto emerge che dopo cinque anni consecutivi di crescita, la pandemia ha determinato una contrazione del numero di pmi.
In base agli ultimi dati demografici e di bilancio, nel 2020 il numero stimato di PMI che operano nel sistema produttivo pugliese si attesta a quota 6.363 un dato in flessione del 2,8% rispetto al 2019 ma ancora superiore del 10,5% rispetto ai valori del 2007. Le pmi pugliesi impiegano poco più di 180 mila addetti, occupati per il 59,7% nelle piccole imprese e per il 40,3% nelle imprese di media dimensione. «Le gravi conseguenze della pandemia l’aumento del costo delle materie prime, l’impatto della tragica guerra in Ucraina e i pesanti effetti dell’impennata dei prezzi energetici - commenta il presidente di Confindustria Puglia, Sergio Fontana - stanno producendo effetti preoccupanti sulla tenuta delle imprese e sulla loro capacità di continuare a produrre mettendo a rischio centinaia di posti di lavoro».
Lo scenario, ora, si è ulteriormente complicato con la crisi di Governo, lo scioglimento del Parlamento e l’indizione anticipata di nuove elezioni politiche, che per larga parte del secondo semestre del 2022 limiterà l’azione di Governo.«Dal Rapporto - aggiunge Fontana - emerge un trend negativo destinato purtroppo a permanere anche nei prossimi mesi. Per questo Confindustria ha messo a punto alcune importanti proposte per creare migliori condizioni e più efficaci strumenti per potenziare la struttura finanziaria, la patrimonializzazione delle imprese e rilanciarne gli investimenti. Sono sicuro che la Puglia saprà mantenere il suo dinamismo agganciandosi ad una ripresa che potrà consolidarsi grazie all’impatto che verrà dagli investimenti finanziati dal Piano europeo così come dai fondi strutturali con l’auspicio che nel nostro Paese si instauri quanto prima una stabilità politica che agevoli il raggiungimento di tali obiettivi».
Determinante, a detta degli industriali, resta l’efficienza della pubblica amministrazione e la rimozione degli ostacoli burocratici che ne rallentano i possibili effetti positivi. Poi c’è la necessità di diversificazione degli approvvigionamenti energetici, per aumentare l’autonomia strategica del Paese e di regolazione dei relativi mercati. «E questo è un problema che assume dimensioni ancor più preoccupanti per le pmi rispetto al quale sono necessarie misure straordinarie, ma anche strutturali, che le accompagnino nella transizione energetica e ambientale». Numerose imprese registrano casi di bollette decuplicate, così non possiamo reggere».
Il Rapporto evidenzia inoltre che per la maggiore incidenza dei comparti agroalimentare e costruzioni, relativamente meno colpiti dalla crisi, il Mezzogiorno ha mostrato impatti di minore intensità. In base alle stime sull’andamento dei fatturati delle PMI, l’unica area che riesce a recuperare i livelli del 2019 è il Mezzogiorno, con perdite di fatturato nel 2020 ampiamente sotto la media (-6,1%) e una crescita del 7,3% nel 2021 che porta i ricavi 0,8 punti percentuali sopra i livelli pre-Covid. La Puglia è riuscita a recuperare i livelli del 2019 (+3,2%). Nel 2007, prima della crisi finanziaria, le Pmi pugliesi erano caratterizzate da profili più rischiosi rispetto a quelli attuali. Negli ultimi anni il tessuto di piccole e medie imprese si è infatti rafforzato sotto il profilo patrimoniale, anche in seguito all’uscita dal mercato delle società più fragili e indebitate.
Prima della recessione in Puglia operavano circa 6 mila PMI. Di queste, secondo il CeBi Score 4, il 32% erano considerate solvibili, a fronte del 27,2% con fondamentali rischiosi, mentre il rimanente 40,7% delle società era classificato in un’area di vulnerabilità. Nonostante il peggioramento dovuto agli effetti del Covid, l’incidenza della rischiosità in base al CeBi Score 4 rimane su livelli non preoccupanti. Nel 2020, su un totale di 6.363 mila PMI, la percentuale di imprese a rischio è aumentata passando dal 13% al 15,2% del 2019; in parallelo la quota di solvibili si è ristretta dal 52,9% al 51,7%.
I dati di fine 2020 mettono in evidenza una forte riduzione delle PMI in area di sicurezza (dal 16,4% del 2019 al 9,8%) e un consistente aumento delle PMI rischiose (dal 12,2% al 18,4%). Nel 2021, per effetto del graduale rallentamento delle restrizioni e della ripresa dell’attività economica l’indice fa registrare un netto miglioramento: la quota in area di sicurezza ritorna a crescere (12,7%) e nello stesso tempo si riduce la percentuale di PMI a rischio (dal 18,4% all’14,3%), restando tuttavia su livelli più elevati rispetto al 2019.