Nel 1781, a più di 500 anni dalla morte di Federico II di Svevia, a Palermo fu aperto il suo sarcofago con le sue spoglie. Dovendosi ristrutturare la Cattedrale, il re Ferdinando di Borbone ordinò l’ispezione di tutti i sepolcri reali ivi esistenti. E poi ne fece pubblicare il resoconto, con disegni molto precisi. Ebbene da questi sappiamo che sul cadavere dell’Imperatore c’erano diversi gioielli: il mantello era allacciato in petto da una fibbia d’oro con al centro una pietra preziosa; al dito un anello con un grosso smeraldo; in testa una corona a cuffia (come il camaleuco di sua moglie Costanza) coperto di lamine d’argento dorato, di perle e di pietre preziose; accanto al collo il globo d’oro simbolo del potere imperiale; a sinistra la spada col manico di legno ornato di fili d’argento dorato.
Tutto questo non si è più trovato nell’ispezione moderna degli anni novanta, prima fatta con un occhio elettronico (endoscopia), poi sollevando di poco il coperchio della tomba. Non si sa se, nello sfasciume creato dalla prima ispezione, i gioielli siano finiti in fondo nella cenere o se addirittura siano stati depredati dai nazisti durante l’ultima guerra mondiale.
Forse il giallo si svelerà ora che la Regione Sicilia ha deciso di mandare a New York (la mostra si inaugura oggi) i gioielli di Federico, in particolare il quarzo di taglio cabochon, che era al centro della fibbia del mantello. Gemma finora nascosta a tutti, dentro le casseforti della Cattedrale, insieme ad altri preziosi. La curiosità più grande è proprio quella di vedere riuniti alcuni oggetti del tesoro di Federico finora sconosciuti e sparpagliati in vari musei del mondo. Perché tali gioielli reali e imperiali sono sempre stati oggetto del desiderio di tutti: dai nemici ai cultori di Federico II. La consistenza di questo patrimonio doveva essere davvero cospicua se ancor oggi si possono annoverare centinaia di pietre lavorate, intagli, cammei, vasi antichi. Nonostante nella disfatta di Parma il suo tesoro fosse stato razziato dai parmensi che, la notte dopo la fortunata sortita, giravano ebbri per le vie della città coperti delle corone, dei sontuosi abiti, dei gioielli di Federico II, il suo tesoro era ancora ricchissimo. Basti pensare che dopo qualche anno dalla sua morte, il figlio Corrado IV dette in pegno ai genovesi 547 intagli e 133 cammei.
Federico II era un collezionista per cui raccoglieva preziosità da ogni parte: dal sacco di Costantinopoli del 1204, dagli antenati normanni, dalle oreficerie arabe, dai mercanti veneziani e provenzali, persino dagli scavi archeologici. Basti pensare che è stato considerato il primo archeologo della storia. A Ravenna fece scavare e scoprì il Mausoleo di Galla Placidia; ad Altamura le Mura megalitiche dei Peuceti. Il culto dell’antico e del bello erano un tutt’uno per lui. Egli commissionava anche opere d’arte e di oreficeria al suo entourage di artigiani e artisti le cui tante opere abbellivano soprattutto il suo palazzo di Foggia. Da questa schiera di artisti nacque il capolavoro del Camaleuco di Costanza, la sua prima e stimata moglie che seppellì con questa corona sulla testa: una cuffia di cuoio con due pendenti d’oro ai lati, ricoperta di filigrana d’oro, di gemme grezze, di fili di perline e di smalti policromi.
Una specie di copia del Camaleuco di Costanza si trova oggi, stranamente, nel Museo di Stoccolma: è quella che Federico donò nel 1236 a Santa Elisabetta di Turingia ed Ungheria, sua zia in quanto moglie di quel Ludovico di Turingia che partì con lui da Otranto per la Crociata e che morì sulla nave. Quando la chiesa la santificò per le sue grandi opere di bene (tra l’altro costruì il primo ospedale in Germania), Federico si recò con la terza moglie Isabella d’Inghilterra, a Marburgo. E personalmente volle fare la traslazione dei resti della Santa, in quel prezioso reliquiario che oggi è a Stoccolma.
Ma la cosa più bella è il titolo della mostra all’Istituto Italiano di Cultura (oggi a inaugurarla l’ambasciatrice in Usa Mariangela Zappia, cui farà da guida il direttore dell’Istituto Fabio Finotti): «Constancia. Donne e potere nella Sicilia Mediterranea di Federico II» perché fa riferimento a quattro delle donne di Federico e cioè Costanza d’Altavilla la madre; Costanza d’Aragona, la prima moglie; Costanza figlia sua e di Bianca Lancia, sposata all’imperatore d’Oriente; Costanza la piccola, figlia di Manfredi e quindi nipote di Federico II che andò sposa a Pietro d’Aragona. Dante Alighieri la fa chiamare, dal padre Manfredi che incontra in Purgatorio, «la mia bella figlia, genitrice de l’onor di Cicilia e d’Aragona». Che donne, però, queste donne federiciane! Tutto il suo universo femminile è esplorato nello studio «Tutte le donne dell’imperatore», edito da Adda, Bari. Decine di donne (mogli, amanti, figlie, nuore) di tutta Europa, di cui però solo le 4 Costanze erano di area e cultura mediterranea. Erano grandi donne del Sud!