Narrativa

«Cose che non si raccontano», la barese Antonella Lattanzi racconta la mancata maternità

Maria Pia Ammirati

La sequenza narrativa fa riferimento alla vita dell’autrice. Pagine dense di crudezza e tenacia nel nome dell’esistenza

Il libro di Antonella Lattanzi, l’ultimo romanzo intitolato Cose che non si raccontano (Einaudi), bisogna saperlo guardare molto da vicino, senza spavento o giudizio, senza paure e pregiudizi. Leggerlo sapendo che stiamo seguendo una storia, una storia di una donna che casualmente, come accade a volte agli scrittori, coincide con la propria vita. Vita e opera di un’autrice talentuosa la cui cifra, fra le altre, è una sorta di spietatezza dello sguardo, una lucidità senza sbavature e retoriche. Il romanzo quindi in questa sua adesione ad un genere che per alcune parti si riferisce ad un diario come fonte, ad una biografia come sequenza narrativa, e a quello che diremmo oggi un medical seguendo (un po’ discoste) le terminologie del cinema e della serialità, fa riferimento alla vita dell’autrice a partire dai nomi e dai cognomi, dai luoghi e dalle città. Ed è un romanzo tosto, forte, dove la spietatezza non è solo l’argomento e il tema e gli ospedali e la sofferenza della perdita dei figli, la spietatezza è nella capacità di giudizio e distacco dell’io narrante e autrice e protagonista, che non risparmia a se e agli altri nulla, ma proprio nulla, entrando nella profondità dei propri pensieri e svelandone le crepe e le ipocrisie, le mancanze.

Il romanzo è la storia di una maternità mancata. Come sono tutte le storie delle maternità mancate di tutte le donne del mondo e della storia, quelle che hanno desiderato e avuto, quelle che hanno cercato i figli e non li hanno avuti, quelle che non hanno voluto i figli e li hanno avuti con la violenza, quelle che hanno rinunciato ad averne, che li hanno abortiti, che li hanno fatti nascere odiandoli. La storia di Antonella, privata, intima e incredibilmente segreta, si è fatta storia universale, trapassando i tempi e le geografie, è la storia di tutte le donne. Anche quelle che la maternità e i figli non se li sono dovuti conquistare ma li hanno avuti in leggerezza, le donne che ti raccontano di meravigliose gravidanze volute, desiderate e avute, di pargoli felici, di famiglie piene di compleanni, battesimi e adolescenze impegnative. Anche per queste donne, invidiate o persino odiate da quelle che aspettano e desiderano, ma non riescono a diventare madri, anche per queste serene eroine, la Lattanzi ha scritto un libro così caustico e terribile . Perché è un libro che nella maniera più diretta, (e come non può esserlo chi senza infingimenti si scopre e scoperchia le sue viscere per scriverne), parla del corpo delle donne, di questo terribile campo di battaglia che è stato e che sarà il corpo delle donne, dove tutto sembra che passi sopra con la violenza più cieca e disperata, in virtù della loro specifica qualità di poter essere madri.

Succede per gli uomini e agli uomini di dover difendere e riflettere e occuparsi così tanto del proprio corpo? No agli uomini non può succedere quello che è successo ad Antonella, gli aborti voluti come è successo a milioni di ragazze sparse nel mondo, la maternità cercata, la maternità assistita e medicalizzata, gli ospedali senza pietà dove una partoriente urla accanto a te che hai appena perso tre gemelline, le corse in ospedale mentre sei un fiume di sangue, la rozzezza e la dolcezza dei medici, la paura di morire e la pena di non aver protetto i figli che stavano lì a covare. E poi, ma non tanto poi, c’è la contemporaneità del tema femminile, quello del desiderio di essere madri e genitori e insieme di non rinunciare alle proprie ambizioni, alla propria arte o passione, e per questo non sentirti inadeguata e incapace di fare tutto, la madre e la scrittrice, la madre e la lavoratrice.

Pur sapendo cosa comporta conciliare e dare, dare e dare a tutti qualcosa di te, dei tuoi nervi e del tuo sangue. Antonella non rinuncia mai al suo lavoro, ai suoi libri anche quando i medici le chiedono il sacrificio di farlo, così come non rinuncia ai figli, al desiderio di averne, e scrivendo questo bel romanzo non dimentica le sue prerogative di scrittrice che scrive non solo per se stessa ma soprattutto per i lettori, ai quali consegna la crudezza e la tenacia della vita con un racconto pieno di tensione e di attesa. E come scrive lei, in fondo tutti noi, anche nell’orrore, custodiamo la speranza del lieto fine.

Antonella Lattanzi, Cose che non si raccontano, Einaudi, pag 207, 19 euro

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