«A ggente ca me vede mmiez’ ‘a via me guarda nfaccia e ride. Ride e passa. Le vene ammente na cummedia mia, se ricorda ch’e’ comica, e se spassa. Redite pe’ cient’anne! Sulamente, v’ ‘o vvoglio di’ pe’ scrupolo ‘e cuscienza: io scrivo ‘e fatte comiche d’ ‘a ggente...E a ridere, truvate cunvenienza?..Nun credo».
Mario Perrotta recita a memoria Edoardo, ha confidenza con questi versi disincantati che raccontano la stretta parentela tra la vita e il teatro, la correlazione ora ironica, ora poetica, talvolta comica, spesso tragica in cui è l’ esistenza ad andare in scena ed il tempo del teatro è un grumo di vita.
Domenica e lunedì, torna al Teatro Apollo Mario Perrotta con due degli spettacoli inseriti nella sua ultima trilogia “In nome del padre, della madre e dei figli”, scritta da Perrotta con la consulenza alla drammaturgia dello psicanalista Massimo Recalcati, che alle relazioni familiari ha dedicato gran parte del suo lavoro. “Dei figli”, il capitolo finale, in programma domenica alle 21. “In nome del padre”, invece, la sera successiva.
Perrotta non ha mai fatto sconti: si definisce un artigiano del teatro, πανθεατρικός, panteatrale, la sua scrittura drammaturgica è sempre partita da urgenze personali, un grandangolo attraverso cui riflettere ma soprattutto porsi domande. E di domande e di vita è intrisa la trilogia “In nome del Padre, della madre e dei figli”, un trittico nato nel 2019 con il primo capitolo dedicato al padre, Premio Ubu 2019, che mette in scena questa trinità laica con la consulenza drammaturgica dello psicanalista Massimo Recalcati. Autore, regista attore, vincitore di tre premi Ubu, Mario Perrotta ha scritto ed interpretato spettacoli di grande successo, riconosciuti unanimemente dalla critica che gli ha tributato sempre riconoscimenti importanti. Apprezzato ovunque, Mario Perrotta non nasconde la gioia di tornare a Lecce.
Dittici, trittici, polittici. Spesso non ti basta uno spettacolo per raccontare, è necessario più tempo per riflettere?
E’ impellente la necessità di lentezza. Questo lavoro nasce quattro anni fa e come accade sempre nella mia vita professionale, ciò che mi mette scomodo lo trasformo in teatro, una terapia per esorcizzare la mia inquietudine. Nello stesso pomeriggio in cui ho dato seguito alla mia urgenza di approfondire il ruolo genitoriale, ho pensato fosse utile scandagliare tutte le tre figure che interagiscono nel microcosmo familiare. Ogni latitudine ha un suo modello ma ho ragionato sulla famiglia italiana che è un caso unico nel mondo occidentale.
Ne “In nome del Padre” interpreti tre 3 padri che identifichi con tre sculture celeberrimeil Pensatore, il Galata morente e il Discobolo.
Sono uno e trino: nel corpo di un solo attore tre padri diversissimi per estrazione sociale, provenienza geografica, condizione lavorativa, in crisi di fronte al “mestiere più difficile del mondo”. In scena ho realizzato tre sculture nude, tre scheletri depauperati, scarnificati, che identificanotre diversi uomini nudi difronte ai figli adolescenti che non sanno gestire. Il Pensatore è il coltissimo giornalista siciliano che come Dante riflette sul proprio inferno, assedia il figlio con la cultura; il Discobolo è l’imbecille pieno di soldi che guarda le amiche della figlia, il Galata Morente è il meccanico veneto, promessa della chitarra blues, che sceglie il “posto fisso” perché mette su famiglia ma è atterrato dalla sua inettitudine e prova un senso di inferiorità nei confronti del figlio.
Massimo Recalcati parla della “cronocizzazione” dell’adolescenza”, ormai figli sine die?
Ho incontrato e intervistato tantissime persone per ragionare su quella strana generazione allargata di “giovani” tra i 18 e i 45 anni che non ha intenzione di dimettersi dal ruolo di figlio. In scena una casa dove vivono solo i corpi dei quattro inquilini in transito perchè la loro anima è rimasta sempre nella casa di origine. Le uniche certezze sono quattro monitor di design, bianchi, come enormi smartphone. Su ognuno di essi stanziano, incombenti, le famiglie di origine degli abitanti: genitori, sorelle, cugini…tredici personaggi per un intreccio amaramente comico, un avvitamento senza fine di esistenze a rischio, imbrigliate come sono nel riflettere su se stesse. Tutti sono collegati al monitor tranne me, Gaetano, calabrese, che vivo nella casa da sempre e sento al telefono solo mio cugino non avendo più rapporti con il resto della famiglia che non ha accettato la mia omosessualità.
Mario Perrotta ci anticipa il prossimo impegno in Salento al festival Crita a Cutrofiano in cui, oltre al laboratorio attoriale, sperimenterà una nuova scrittura condivisa con il suo pubblico.