L'iniziativa

Profughi: lo storia insegna l'accoglienza

Onofrio Pagone

Le riflessioni del soprintendente Raffaele Pittella in vista del seminario online in programma domani, prima tappa del progetto «Carte per la memoria». L'archivio Pisacane di Nardò verso la «dichiarazione di interesse»

La storia insegna l’accoglienza. Se ne parla domani in un seminario internazionale online, prendendo spunto da documenti inediti reperiti nell’archivio Pisacane a Nardò.

Soprintendente Pittella, quali sono le ragioni di questo seminario? Una ricerca archivistica sui profughi della seconda guerra mondiale che valore ha, proprio ora che il tema dei profughi riguarda l’attualità, ora che abbiamo migliaia di profughi che bussano alle porte dell’Europa?


«In Puglia per studi precedenti mi sono occupato di vicende ebraiche in età moderna. Poi sono rimasto affascinato dalla storia contemporanea per la presenza di tanti profughi in Puglia. Ho cercato testimonianze documentali private, perché sono a rischio di dispersione. È sempre così: chi le raccoglie ha interesse a conservarle, ma poi gli eredi lasciano disperdere questi patrimoni della memoria».

E quindi?

«Così è nato questo progetto. Abbiamo raccolto testimonianze di una storia di accoglienza e di integrazione, di ritorno alla vita dopo la guerra. E questo proprio in coincidenza con i fatti di questi giorni, che paradossalmente rendono di attualità anche i precedenti del passato».

Perché parla di archivi privati?

«È l’attività della Sovrintendenza. Il nostro mandato è tutelare e vigilare i patrimoni degli enti territoriali e degli enti ecclesiastici, ma anche i documenti privati. Tutti, non solo quelli cartacei: anche le pellicole, le foto, tutti i documenti possibili. L’archivio non è fatto solo di pergamene e di carte; per noi archivisti ogni supporto è una testimonianza utile. Anche l’arte di strada è importante; anche supporti diversi sono importanti: si pensi per esempio agli abiti di scena per quanto riguarda Carmelo Bene. Il nostro compito è individuare e dichiarare un patrimonio archivistico».

E vincolare?

«Non direi vincolare: detto così sembra punitivo. Noi invece puntiamo a valorizzare, a riconoscere dignità ad una testimonianza documentale. Noi forniamo una dichiarazione di notevole interesse culturale; il vincolo è un’altra cosa».

Per questo progetto delle «Carte per la Memoria» avete creato un asse tra la Puglia e New York. Come siete arrivati fino in America?

«Attraverso i miei contatti per altri studi compiuti. Chi tra i profughi giunse all’epoca in Salento, in realtà aveva altre prospettive: c’era chi voleva prendere la via di Israele, e chi quella degli Stati Uniti. Il “Centro Primo Levi” di New York è un centro di eccellenza per gli studi in materia, e lì io stesso ho conoscenze intellettuali per via di altri studi che ho seguito sulla comunità ebraica in età moderna. È importante il rigore scientifico, come quello che caratterizza il Museo della Shoah a Washington».

E il nostro consolato? Perché nel progetto è coinvolto personalmente anche il console a New York?

«Perché si partiva dall’Italia e si arrivava negli Stati Uniti. Per i profughi dopo la guerra l’obiettivo erano soprattutto gli Stati Uniti, e il consolato era un riferimento».

Il seminario di domani punta – secondo l’annuncio del manifesto – a un dialogo ma a tre, tra istituzioni, storici e archivisti. Le istituzioni: quali?

«Puntiamo a una sinergia con le istituzioni: con i Comuni, con l’Università. E soprattutto voglio far conoscere la Puglia fuori dalla Puglia. Come Soprintendenza non abbiamo ragioni campanilistiche: le fonti pugliesi possono essere studiate anche altrove. Questo seminario di domani è solo un primo passaggio verso un progetto più grande: vogliamo valorizzare le potenzialità pugliesi per questi studi, in quanto la Puglia nella storia è sempre stata un crocevia fondamentale».

E quindi il passo successivo qual è?

«È il progetto di conservazione di queste fonti. Bisogna studiarle dal punto di vista storico, censirle e farle diventare oggetto di studio. Vogliamo che queste testimonianze non rimangano circoscritte agli intellettuali. Gli archivi sono usati e riusati nella storia: spesso diventano lo strumento per risarcire le persone. Si pensi alle richieste da parte di quanti sono stati perseguitati dal regime fascista, si pensi al casellario giudiziario per personaggi del calibro di Levi o di Pertini. Quel casellario è diventato fonte di riscatto. L’archivio ha una vita nuova a seconda delle domande che il presente pone al passato».

Prima accennava alla Puglia come luogo di accoglienza. Ci spieghi di più.

«L’accoglienza è caratteristica tipica della regione: come crocevia, la Puglia è luogo di incontro di culture, da qui sono passati i bizantini e i normanni, c’è sempre stata questa commistione. Questo va fatto sapere ai giovani, agli studenti, non solo agli specialisti della materia. Perciò concepiamo gli archivi per la loro valenza educativa: va recuperato il valore civile ed educativo di questi luoghi. Ci siamo dimenticati dell’educazione civica: bene, negli archivi possiamo recuperarla, negli archivi possiamo agevolmente fare educazione civica attraverso tutti i documenti custoditi».

Ci fa un esempio?

«Le carte dell’istituto intitolato a don Uva a Bisceglie. Sono rimasto impressionato: quell’istituto è una città nella città, lì c’erano seimila internati. Dico seimila, cioè ben più della popolazione di un paese della mia Basilicata! E’ un bacino documentale che fa riflettere sui diritti negati e poi riconosciuti. Abbiamo avviato collaborazioni con le università di Pisa e di Napoli proprio per approfondire questi aspetti. Vanno coinvolti i giuristi per esaminare la vicenda dei diritti delle persone. Ecco, l’archivio non è un salotto per intellettuali, non siamo il Rotary della cultura, ma un luogo di formazione civica. I nostri nomi sono tutti incasellati negli archivi: dall’anagrafe alla palestra, dal notaio all’università, all’Inps, dappertutto. L’archivio è il luogo in cui si conservato tutti i dati personali».

Non vuole aggiungere i social, i siti web e tutta la Rete?

«Certo, tutto ciò che raccoglie i dati è un archivio. E’ sufficiente che qualcuno abbia fissato su un sopporto di memoria ciò che ci riguarda: aspirazioni, desideri, anche dolori. Si pensi per esempio ai graffiti sui muri delle carceri: quelli sono documenti straordinari da valorizzare negli studi».

Per questa prima fase del progetto, le «Carte per la Memoria» sono quelle raccolte da Paolo Pisacane, salentino di Nardò. Un archivio privato importante?

«Direi di sì. Abbiamo avviato il procedimento per la dichiarazione di notevole interesse».

Come sono i rapporti tra la Soprintendenza archivistica della Puglia e l’Università di Bari?

«Buoni. Ho ottimi rapporti con tutti. Ho incontrato il rettore ed abbiamo già avviato collaborazioni; per esempio abbiamo ricordato insieme il paleografo Francesco Magistrale. Ora con la Cattedra di Storia Moderna stiamo programmando una giornata di studio insieme. In verità ho ereditato ricerche importanti svolte negli anni Ottanta e Novanta; ora vorrei estendere lo sguardo e valorizzare altre tipologie di archivi».

Tra questi c’è anche quello della Gazzetta del Mezzogiorno?

«Sì, naturalmente. Tutto ciò che merita, va valorizzato. La Gazzetta rappresenta molto per la Puglia e l’intero Mezzogiorno, è un elemento identitario: si badi, non in termini campanilistici, ma perché rappresenta il Paese»

Torniamo all’archivio di Pisacane. Perché è importante?

«Perché raccoglie storie da conoscere e valorizzare. Sono le testimonianze di chi non vuol far perdere la memoria di un fatto».

A cosa si riferisce?

«Alle lettere, per esempio. Sono interessantissime, perché significano un rapporto con quel luogo, un rapporto che va oltre il tempo, rappresentano un rapporto di quei profughi con questa terra: erano andati via, soprattutto negli Stati Uniti come abbiamo detto, eppure mantenevano un rapporto con la Puglia che li aveva ospitati».

Come studioso e come uomo, da cosa è stato impressionato di più consultando quell’archivio?

«Proprio dalle lettere, la corrispondenza intercorsa negli anni successivi. E poi le foto. Quelle foto di gente sorridente testimoniano il ritorno alla vita, alla normalità».

Una foto, una sola, quella che le balza subito alla mente: cosa rappresenta?

«L’arrivo di quei profughi in Puglia in treno. Col treno gli ebrei erano stati trasportati ad Auschwitz, avevano raggiunto la morte. Col treno tornavano alla vita ed erano in Puglia. Sono scene che fanno effetto, proprio in questi giorni nei quali le scene dei profughi sono di nuovo impressionanti, come all’epoca del Nazismo».

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