L'intervista
Giovani, stadi, norme: il presidente della Figc Gravina a tutto campo
«Il Lecce un esempio. Multiproprietà? Stop nel 2028, l’intero sistema internazionale va in tale direzione»
Della sua terra porta con sé la tenacia, la determinazione e soprattutto la voglia di non arrendersi. Ci sarà ancora un pezzetto di Puglia a tirare le fila del calcio italiano.
Gabriele Gravina, 71 anni, da Castellaneta è stato appena rieletto presidente della Figc in un quadriennio ricco di sfide per il pallone alle nostre latitudini. Gli impegni sul campo vedranno la nazionale maggiore impegnata a marzo nei quarti di finale di Nations League contro la Germania in un crocevia decisivo anche nel percorso per il prossimo Mondiale (al quale davvero non si potrà mancare), ma sarà protagonista anche l’Under 21 che in estate disputerà l’Europeo di categoria. Fuori dal rettangolo verde, invece, si prospettano missioni altrettanto gravose: le riforme nel segno della sostenibilità, il supporto ai giovani, l’inevitabile rivoluzione sull’impiantistica nel cammino che porterà all’organizzazione del’Europeo 2032 in condivisione con la Turchia. Gravina risponde a 360 gradi, toccando anche i temi più delicati, come il futuro della multiproprietà.
Cosa l'ha spinta a superare il momento di sconforto dopo l’ultimo Europeo e le diverse fibrillazioni all’interno e all’esterno del mondo del calcio?
«L’ampia condivisione sul progetto, prima che sulla mia persona. La volontà delle componenti federali di voler proseguire e completare il percorso di rinnovamento che abbiamo iniziato in un ritrovato clima positivo di unità e condivisione. Era questa la condizione che avevo posto per la mia ricandidatura. Dopo il campionato europeo, Spalletti si è preoccupato di sistemare la squadra, e le prestazioni oltre ai risultati in Nations League gli hanno dato ragione, io mi sono concentrato nel tracciare un percorso di politica sportiva che sembrava quasi impossibile, poi concretizzatosi nella modifica dello Statuto federale avvenuta nell’Assemblea di inizio novembre. È lì che, trovando l’accordo sulle nuove regole del ‘stare insieme’, abbiamo gettato le basi per ritrovare serenità e compattezza su una visione comune di sviluppo del calcio italiano».
Quali saranno i punti forti del programma nel prossimo quadriennio?
«Agiremo su due livelli, uno interno al mondo del calcio e l’altro esterno coinvolgendo gli stakeholder, partendo dal Governo. Vogliamo proseguire nel percorso di rendere stabile e sostenibile il calcio professionistico e consolidare il grande lavoro che si sta facendo nei vivai italiani, perché i giovani rappresentano il futuro di questo sport. Alla politica chiediamo l’adozione di alcune proposte che possano offrire un contributo a questo importante processo di evoluzione: il riconoscimento del tax credit per investimenti virtuosi nei settori giovanili e nelle infrastrutture; il reinvestimento di una percentuale dei proventi delle scommesse sul calcio, con destinazione vincolata in investimenti nei settori giovanili, nel calcio femminile e nell’impiantistica, associando percorsi di contrasto alla ludopatia; una diversa e più efficiente forma di agevolazione fiscale per le società che scelgono di tesserare calciatori di primo livello residenti all’estero».
Si parla tanto di riforme e di calendari troppo intasati: ma davvero la riduzione delle partecipanti ai campionati è una soluzione? La serie A non deve restare il sogno di realtà più piccole?
«L’obiettivo che ci dobbiamo porre è prima di tutto la sostenibilità del calcio professionistico. Abbiamo iniziato ad agire sul tema delle iscrizioni e sul controllo di gestione per ridurre l’impatto eccessivo del costo del lavoro allargato sul fatturato dei Club. Se non dovesse bastare, e in alcuni casi sembra chiaro che non sia così ad eccezione della Serie A, agiremo in altro modo».
La Superchampions e voci su altre competizioni: il rischio è la svalutazione dei campionati nazionali?
«La nuova formula della Champions League e più in generale delle competizioni europee è un grande successo, tanto che la UEFA sta già pensando di vendere i diritti per i sei anni successi a quelli già contrattualizzati. L’inevitabile contrazione delle risorse televisive sarà l’argomento dei prossimi anni, bisogna prenderlo come uno sprone a rinnovarsi, anche trovando formule di ancora maggiore appeal».
L’Europeo 2032 è una grande sfida: saremo pronti?
«Sono fiducioso, anche se dobbiamo accelerare. Fra un anno e mezzo dobbiamo indicare cinque stadi alla UEFA, siamo a buon punto. Ciò non toglie che sul tema degli impianti servirebbe un impulso deciso da parte del Governo e del Parlamento per snellire la burocrazia e facilitare il finanziamento di nuove strutture o di opere di rinnovamento. È uno dei temi che ho inserito nel programma e anche uno dei più urgenti».
Bari sogna di entrare nelle cinque «elette»: è una possibilità concreta?
«Dipende dalla progettualità sullo stadio. Per concorrere bisogna presentarsi ad ottobre ’26 con un piano approvato, finanziato e cantierabile nei successivi 6 mesi”.
La Nazionale nel capoluogo è sempre accolta con il tutto esaurito: quando tornerà al San Nicola?
«Giocare a Bari è un’emozione unica, gli Azzurri si trovano sempre benissimo. Torneremo presto».
Come vede il progetto targato Spalletti: vede il ct ancora a lungo in panchina?
«Crediamo molto nell’uomo e nel ct Spalletti. È un gran lavoratore, una persona seria e capace che è entrato nel ruolo 365 giorni l’anno e 24 ore al giorno. Il progetto di ringiovanimento della rosa avviato dopo l’Europeo con vista Mondiale 2026 ha già iniziato a produrre i suoi frutti, questo è un gruppo di valore che saprà entusiasmare».
Le nostre under stupiscono, ma i giovani faticano a trovare spazio: come aiutarli? Le leggi europee lo consentono, i regolamenti anche… Ma non sono troppi gli stranieri? Ci sono squadre nelle quali si fa fatica a contare gli italiani…
«È un problema culturale, di mentalità e di visione manageriale. Invece del risultato immediato, investire nei vivai è la soluzione a medio e lungo termine. Talento ne abbiamo, lo dimostrano i grandi risultati delle nostre Nazionali (argento mondiale con l’Under 20 e le vittorie continentali con Under 17 e 19, Ndr). Per la prima volta nella storia, abbiamo vinto il Trofeo Burlaz, che la UEFA assegna alla Federazione con i migliori risultati a livello continentale nell’ultimo triennio, a testimonianza di come in Italia bisogna creare maggiori opportunità per offrire ai giovani le occasioni per maturare e diventare campioni».
A proposito di Bari e del Bari. Il nodo della multiproprietà si avvia alla fase decisiva: proprio lei raggiunse l’intesa per una proroga al 2028 a tutela degli investitori. Conferma che tra tre anni l’istituto sarà dismesso?
«Assolutamente. La modifica della norma è stata concordata con l’attuale proprietà che ha ricostruito il club, investendo in prima persona. Il tema delle multiproprietà è attenzionato anche in campo internazionale e si sta progressivamente andando proprio in questa direzione».
Da un lato l’imprenditore (De Laurentiis) che fa il suo e dall’altro una città ed una tifoseria, fra le più importanti d’Italia, che si sentono ostaggio di questa norma e aspirano a una giusta indipendenza calcistica. Ritiene che Bari possa trovare un futuro acquirente in grado di fare compiere ad una grande piazza l'agognato salto di qualità?
«Bari è una piazza di primissimo piano, lo dice la tradizione e soprattutto la straordinaria passione della sua gente. Senza entrare in dinamiche societarie che non mi competono, dico solo che le potenzialità di questo territorio ne fanno una vera e propria perla del Sud Italia».
Lecce e il Lecce, sinonimo di dirigenza lungimirante e di tifoseria coinvolta. Nel Salento il senso di appartenenza, territorialità è evidente: un esempio di calcio sostenibile?
«Faccio i miei complimenti a Sticchi Damiani e a tutta la società Lecce perché stanno dimostrando che, con passione e competenza, è possibile fare calcio a certi livelli senza creare situazioni di squilibrio. Anche grazie alla passione dei tifosi giallorossi, rappresentano un valore aggiunto importante per la regione e anche per la Serie A».
Lei è originario di Castellaneta: sta seguendo l'agonia del Taranto? Perché una piazza dall'ampio potenziale non trova pace?
«Sono profondamente amareggiato per i tarantini, ma quello che sta accadendo rappresenta un danno per l’intero calcio italiano. Non ci possiamo più permettere una stagione come questa con penalizzazione e criticità evidenti nell’onorare gli obblighi economico-finanziari previsti dalle norme. Per questo, non più tardi di qualche giorno fa, ho richiamato tutte le componenti ad un’assunzione di responsabilità collettiva affinché si riapra il tavolo della riforma e tutti possano finalmente fornire un contributo decisivo nel rendere più sostenibile il calcio italiano nel suo complesso, senza arroccarsi dietro il cosiddetto “diritto d’intesa”».