Il processo

Brindisi, le pressioni dei familiari per scongiurare il pentimento di Morleo

Stefania De Cristofaro

L'ex dirigente della squadra mobile ricostruisce in aula le diverse fasi del percorso del collaboratore di giustizia

BRINDISI - «Dalle attività di indagine sugli omicidi Cairo e Spada emerse che i familiari di Massimiliano Morleo, i fratelli, si precipitarono di corsa al carcere di Terni, perché avevano intuito un forte malessere di Massimiliano: non sopportava il carcere e avevano percepito che potesse assumere la decisione di collaborare. Andarono lì per farlo desistere e questa missione riuscì perché decise di fare un passo indietro».

Il retroscena relativo al periodo precedente all’inizio della collaborazione di Massimiliano Morleo con i pm della Dda di Lecce è emerso dalla testimonianza dell’ex vice dirigente della Squadra Mobile di Brindisi, Vincenzo Zingaro, ascoltato come teste del pubblico ministero, nel processo sugli omicidi degli imprenditori brindisini, Salvatore Cairo e Sergio Spada, entrambi attivi nel settore dei casalinghi. Cairo venne ucciso e fatto a pezzi e bruciato il 6 maggio 2000, Spada venne freddato con un colpo di pistola l’11 novembre 2001. Entrambi eliminati perché concorrenti scomodi. Sotto processo ci sono i fratelli Cosimo ed Enrico Morleo, incastrati anche dalle dichiarazioni del fratello minore, Massimiliano, in veste di aspirante pentito, e arrestati il 3 marzo 2022.

Zingaro, alla Mobile sino al 2005 e alla Digos di Brindisi fino al 2015, ha seguito le indagini sui due omicidi nell’immediatezza dei fatti, poi nel 2003 e 2004 e infine nel 2021, quando è arrivata l’ulteriore spinta da Massimiliano Morleo. Il primo interrogatorio messo a verbale con i pm della Dda risale al 28 gennaio 2022.

«Nel 2021 ero dirigente della Divisione polizia amministrativa a Matera e sono stato informato dal dottor De Nozza del fatto che Massimiliano Morleo aveva deciso di collaborare», ha spiegato. «Con l’intervento della Dda di Lecce fu richiesta al Ministero e al capo della Polizia la possibilità che fossi aggregato alla questura di Brindisi sempre alla Squadra Mobile per poter ricostituire in parte il nucleo investigativo dell’epoca. Quindi, con autorizzazione della Direzione Centrale Anticrimine del Ministero, del Prefetto Messina sono stato aggregato a Brindisi in seno alla Mobile», ha aggiunto.

«Massimiliano Morleo venne arrestato, se non ricordo male, per un semplice fine pena, doveva forse scontare tre anni, e venne arrestato e portato nel carcere di Terni. Alla Squadra Mobile di Brindisi arrivò una lettera indirizzata all’epoca all’ispettore Zinzeri. Non esisteva nessun ispettore Zinzeri», ha sottolineato l’ex vice dirigente della Mobile. «Personale della Squadra Mobile raggiunse il carcere di Terni però non sortì alcun effetto perché quando arrivarono là, Massimiliano Morleo disse che non voleva parlare più con nessuno». All’epoca c’erano delle attività di indagine sugli omicidi Cairo - Spada ed emerse, stando alla testimonianza di Zingaro, la preoccupazione di fratelli di Massimiliano Morleo rispetto a una possibile collaborazione con la giustizia. «Ricordo con certezza Pino Morleo, forse anche Bruno Morleo, mi sa anche Stefano Morleo, un po’ tutti i fratelli perché organizzarono una macchina su cui noi avevamo piazzato dispositivi (per le intercettazioni) ambientali che poi furono scoperti, per cui poi cambiarono auto».

Morleo, nel frattempo, fu trasferito dal carcere di Terni a quello di Perugia.

«Chiesi all’epoca alla Dda di Lecce di poter andare personalmente visto che lui aveva scritto ispettore Zinzeri forse confondendosi con il cognome, però anche in questo caso non verbalizzammo nulla perché poco prima Massimiliano Morleo tentò di suicidarsi e la polizia penitenziaria riuscì a salvarlo per un pelo».

Morleo ad oggi è l’unico collaboratore di giustizia ad aver parlato dei due omicidi. Nulla hanno saputo riferire Cosimo Leo, ex capo della frangia mesagnese della Sacra corona unita e niente è stato in grado di dire Vito Di Emidio, alias Bullone. «Di Emidio era detenuto in un carcere in provincia di Frosinone, lui stesso si era autoaccusato di una serie interminabile di omicidi, mi pare 23. Andammo all’epoca con la dottoressa Ginefra a sentirlo per chiedergli se fosse in qualche maniera coinvolto o fosse a conoscenza o fosse in possesso di elementi per poter ricostruire la storia di questi due omicidi, cioè di Cairo e di Sergio», ha detto Zingaro. «Sono stati due omicidi che storicamente sono rimasti sempre, diciamo, nel limbo. Questa cosa ingenerò in chi si occupava dell’indagine il forte sospetto o comunque la convinzione certa che questi due omicidi fossero maturati nell’ambito della famiglia Morleo che all’epoca era un nucleo forte e per cui era difficilissimo che emergesse qualcosa a livello investigativo».

Privacy Policy Cookie Policy