Ambiente e lavoro
Brindisi, Enel ferma la centrale di Cerano: il Governo cerca soluzioni
Lo tsunami decarbonizzazione è arrivato ma non c’è un piano che salvaguardi il destino occupazionale dei lavoratori
BRINDISI - La centrale termoelettrica di Cerano è ferma da venerdì scorso. I tre gruppi alimentati a carbone del colosso «Federico II» di Enel sono spenti. Sono previste solo sei settimane di manutenzioni. Poi di quel che sarà dei 237 dipendenti diretti e degli oltre 500 dell’indotto (come numero medio con punte di 700 in occasione di manutenzioni programmate) non è dato a sapersi.
In questo infausto destino la Federico II non è sola, perché da venerdì scorso Enel ha spento tutte le centrali a carbone d’Italia. È l’effetto della scadenza del decreto di massimizzazione dei carichi delle centrali a carbone emesso dal governo Draghi in seguito alla crisi energetica dovuta all’esplosione della guerra tra Russia e Ucraina. La notizia, che lascia presagire scenari devastanti sul fronte occupazionale, è trapelata ieri a latere di un incontro convocato dal prefetto con i sindacati di categoria Filctem Cgil, Femca Cisl e Uiltec Uil che l’Autorità di governo ha allargato anche al Cobas riunito in sciopero con i lavoratori delle aziende appaltatrici e del porto. Un incontro che non ha sortito grandi effetti per via di «divisioni sindacali».
L’Enel - Ieri il direttore Italia di Enel, Nicola Lanzetta, in audizione alla commissione Bilancio della Camera, nell’ambito dell’esame del decreto legge 124/2023 su disposizioni urgenti in materia di politiche di coesione per il rilancio dell’economia nelle aree del Mezzogiorno, ha detto chiaramente per gli impianti termoelettrici alimentati a carbone di Civitavecchia e Brindisi di Enel «sono siti che il sistema non reputa in grado né opportuno di riconvertire a gas» perciò «ci sono due grandi direzioni su cui crediamo: la realizzazione di impianti di produzione fotovoltaico e la realizzazione di batterie» (batterie da accumulo ndr). E poi ha rimandato a novembre quando ci sarà il nuovo piano industriale per eventuali ulteriori investimenti su Brindisi e Civitavecchia.
Il Governo - «Stiamo valutando la possibilità di ricorrere ad ulteriori strumenti agevolativi, dedicati al finanziamento dei programmi di reindustrializzazione» ha detto il ministro delle Imprese e del Made in Italy, Adolfo Urso, al question time della Camera, rispondendo a un'interrogazione sulle aree industriali di Brindisi e Civitavecchia posta dai colleghi di Forza Italia Mauro D’Attis e Alessandro Battilocchio. Urso ha spiegato che si stanno valutando anche «altri strumenti» come i contratti di sviluppo ma «per questo ci servirà la collaborazione delle due Regioni e su questo sarà finalizzato il prossimo tavolo». D’attis e Battilocchio si sono detti soddisfati delle risposte date dal ministro nonostante si stiano battendo per sapere «quali saranno i passi successivi per perseguire il rilancio dei due territori e se siano stati individuati gli strumenti per finanziarne la riconversione, nel percorso di transizione energetica ed ecologica».
I sindacati - Il segretario della Filctem Cgil Antonio Frattini denuncia: «L’assoluta assenza di attenzione da parte del Governo nazionale, sull’area industriale di Brindisi, ad oggi purtroppo non c’è alcuna disponibilità ministeriale per convocare l’incontro sulla Vertenza Basell e/o di riattivare il tavolo sulla Chimica di base e per aprire un focus su sviluppo e consolidamento del Petrolchimico di Brindisi» e «l’assoluta incertezza governativa, anche, in campo energetico». E conclude: «Dal Governo ci aspettiamo un confronto con Terna, che dovrebbe completare le aste del Capacity Market, con una nuova asta per il polo elettrico di Brindisi». Il Cobas con Bobo Aprile chiede che «l’Enel deve realizzare il programma di investimenti annunciato da tempo e che sembra invece lentamente stia scomparendo» e chiede «una riunione con il Governo nazionale» preannunciando ulteriori mobilitazioni.
Intanto mentre gli impianti termoelettrici di tutta Italia chiudono, perché - scaduto il decreto di massimizzazione - la strategia del «phase out» dal carbone al 2025 non è cambiata, ma al governo ancora si discute di «soluzioni possibili».
Ed Enel è gioco forza costretta a puntare sulle rinnovabili, perché se il gestore della rete (Terna ndr) dice che non c’è spazio per fare centrali a gas al sud Italia mica può costruirne una per non produrre nulla.
La verità allo stato dell’arte è che non solo non c’è un piano «B», ma nemmeno un piano «A», che mentre lo tsunami decarbonizzazione è arrivato, non è pronta né la famigerata arca, né una scialuppa di salvataggio, un gommone e forse nemmeno un salvagente perché non c’è una politica industriale.