Il racconto
Brindisi, l'odissea di una 37enne con un tumore al seno
La lettera e la storia della malattia per dare speranza ad altre donne
Riceviamo e pubblichiamo la seguente lettera alla «Gazzetta» inviataci da una mamma 37enne.
Voglio raccontare la mia storia perché quello che è accaduto a me, possa dare voce e speranza a tante altre donne che soffrono in silenzio e combattono ogni giorno la malattia. Sono madre di due splendidi bambini. Ho scoperto di avere un tumore al seno triplo negativo subito dopo la nascita della mia seconda figlia all’età di 34 anni. Dopo aver fatto tutti gli approfondimenti ed esami necessari decisi di iniziare il mio percorso di cura presso l'ospedale «Perrino» di Brindisi dov’è presente la Breast Unit per la cura del tumore al seno e dove in teoria ogni donna dovrebbe essere seguita con più attenzione, cosa che è invece purtroppo non è accaduta. Perché tutto è rimasto sulla carta.
Oggi, dopo aver subito un’operazione di mastectomia omolaterale, mi sento una donna ancora ferita ma viva, perché sono convinta che proprio nel posto in cui avrebbero dovuto curarmi e sentirmi al sicuro mi stavano invece lasciando morire, ma grazie a Dio ad altri io devo la mia vita. Prima di cominciare il mio percorso terapeutico mi spiegarono che, nel mio caso sarebbe stato più conveniente rimpicciolire e quindi ridurre la massa tumorale con la chemioterapia per poi rimuoverla successivamente con un intervento. Così l’oncologa che mi avrebbe seguita, mi illustrò il programma terapeutico da seguire e mi disse che dopo la fine dei cicli di chemioterapia, avrei dovuto subire un intervento di quadrantectomia. Prima di cominciare la chemioterapia parlai anche con lo psiconcologo (fu quello il primo e ultimo colloquio). Il mio percorso di cura prevedeva un trattamento neoadiuvante per 4 cicli ogni 21 giorni e successivamente taxolo per 12 settimane. Mi sottoposi al primo trattamento. Tutto sembrava procedere bene. Poco prima di terminare i primi 4 cicli però cominciai ad avere il sospetto che qualcosa non stesse funzionando. Nel frattempo avevo già tagliato tutti i capelli, ma della figura dello psiconcologo neppure l'ombra e io morivo dentro. Nonostante abbia sempre chiesto, se tutto stesse procedendo bene, la risposta che ricevevo è sempre stata affermativa, senza aggiungere una sola parola. Solo silenzio e mentivano. Tra la fine del primo trattamento e l'inizio del secondo non fui sottoposta ad alcun controllo, neppure ad una banale ecografia. Gli unici controlli previsti erano gli esami del sangue. Cominciai anche il secondo trattamento, quello con il taxolo, ma il tumore anziché rimpicciolirsi, cresceva ed era visibile anche ad occhio nudo.
Ho trascorso notti intere a piangere e a pregare in silenzio, impotente di fronte alla malattia, con la paura di morire giorno dopo giorno, fino a quando decisi di prendere in mano la mia vita. A quel punto decisi di fare privatamente un’ecografia e i miei sospetti purtroppo cominciarono a prendere forma. Decisi allora di chiedere spiegazioni e quando mostrai quell’ecografia, con molta freddezza e piuttosto infastidita, una dottoressa rispose che non dovevamo trarre conclusioni affrettate, che avevano dei protocolli da rispettare e delle linee guida da seguire e che, dopo mie continue e ripetute sollecitazioni, potevo approfondire con una mammografia e risonanza. L’altra presente, invece, mi disse che aveva fatto bene a fare quell’ecografia. A questo punto mi sorge spontanea una domanda, perché se tutti vedevano e sapevano che qualcosa non stava funzionando, non sono intervenuti subito, ma si sono attivati solo quando sono stati messi con le spalle muro di fronte a quella famosa ecografia, scongiurando in questo modo conseguenze ben più serie? Non metto in dubbio che i protocolli dovessero essere rispettati, ma si poteva intervenire prima.
E dov’era in tutto questo la figura dello psiconcologo che sulla carta avrebbe dovuto darmi sostegno e supporto? E ancora una volta morivo dentro, sola. A quel punto mi disse anche che, per avere l'impegnativa con gli esami prescritti potevo tranquillamente tornare tra una settimana perché quel giorno avevano problemi con il sistema operativo del pc, ma io non potevo aspettare che il tumore che sentivo crescere dentro di me, mi divorasse anche l'anima e tornai il giorno dopo. Ero gia al settimo trattamento con taxolo settimanale e nel frattempo contattai lo IEO dove effettuai una visita specialistica perché a quelli, avevo deciso di affidare la mia vita. Il dottore confermò i miei timori e le mie paure e mi spiegò che se l'oncologo in assenza di una terapia sostituiva, avesse dato parere positivo, lui mi avrebbe inserito in una lista d’attesa e mi avrebbe operato. Così quando tornai, riferì alla dottoressa e decise che era arrivato il momento di intervenire per programmare l'intervento, messa con le spalle al muro per la seconda volta. Ma per me era già troppo tardi. Interrotto il trattamento con il taxolo sono stata operata.
Ho subìto un intervento di mastectomia laterale sinistra e dissezione ascellare omolaterale. Esattamente nel periodo in cui, secondo i loro schemi, avrei dovuto finire la chemioterapia, io ero già stata operata. È in quel preciso giorno sono rinata. Mi fu chiesto in seguito, se volessi partecipare ad uno studio di ricerca clinica per la sperimentazione di un farmaco immunoterapico nel trattamento del tumore mammario triplo negativo ad alto rischio. Allora mi chiedo, se possedevo tutti i requisiti necessari per poter accedere a questo studio, perché nel momento in cui hanno capito che la risposta del mio organismo alla chemioterapia non è stata soddisfacente, non hanno deciso di operarmi subito e si sono attivati solo in seguito alle mie ripetute sollecitazioni e sopratutto dopo la visita allo IEO? Alla luce di quanto successo sono convinta che se non avessi fatto quell’ecografia privatamente e non avessi interrotto la chemioterapia, probabilmente le cose sarebbero andate diversamente.
Le parole scritte sulla diagnosi di ricovero presso lo IEO che recitavano cosi «carcinoma T4 a cute quasi ulcerata per circa 4 cm in progressione clinica da operare» risuonano giorno e notte nella mia mente. Perché purtroppo ci sono parole che non si possono dimenticare e cicatrici che rimarranno incise per sempre nel mio corpo e nella mia mente.