La storia
Barletta, il processo all'avvocato ambientalista Cianci: «Trafficava in bitcoin ottenuti con droga e armi»
Le carte dell'accusa all'ex presidente della società comunale Barsa: a febbraio nuova udienza davanti al Tribunale di Brescia
BARI - Da avvocato difensore a presunto complice dei suoi assistiti. È la parabola dell’avvocato barlettano Michele Cianci, 61 anni, a processo con l’accusa di associazione a delinquere finalizzata al traffico di droga attraverso la piattaforma del dark web «Berlusconi Market», realizzata e gestita dai due barlettani e un putignanese (che oggi hanno tra i 25 e 31 anni) di cui all’epoca era il difensore. I tre cyber geni, finiti in carcere e poi ai domiciliari, già condannati a tre anni e sei mesi per la «semplice» associazione a delinquere, adesso rischiano un’altra condanna, questa volta a 9 anni di reclusione nel processo bis davanti al gup del Tribunale di Brescia. L’accusa? Avere utilizzato la loro piattaforma per vendere droga. Come gesto di collaborazione i tre giovedì hanno consegnato alla Procura di Brescia i codici per sbloccare quasi 28 bitcoin, pari quel giorno a quasi 2,5 milioni di euro.
Cianci, molto conosciuto a Barletta per le sue battaglie ambientaliste e per essere stato il presidente della società comunale Barsa, è ritenuto dall’accusa «partecipe» dell’associazione promossa dai suoi ex clienti. Per questo nel settembre 2022 finì a sua volta ai domiciliari (da tempo è tornato libero) ed è l’unico dei sei imputati (gli altri sono il fratello minore di uno dei tre cyber geni, 25 anni e un presunto factotum, 41 anni, nato in Romania e residente a Brescia) a non aver scelto riti alternativi. Assistito dagli avvocati Claudio Cioce di Trani e Gianbattista Scalvi di Brescia, Cianci si sta difendendo nel processo in ordinario in corso a Brescia: la prossima udienza è a febbraio.
Per dare una idea della portata della vicenda, basti considerare che sul caso ha lavorato persino l’Fbi americana. Del resto, stando alle indagini del Nucleo speciale tutela privacy e frodi tecnologiche della Guardia di finanza, coordinati dal pm Erica Battaglia. Il Berlusconi Market, «sia per la quantità di beni posti in vendita sia per il valore delle transazioni», nel periodo 2017-2019 è stato il «più importante mercato della dark net». Qui si comprava e vendeva di tutto, anche droga, armi, monete e merci contraffatte, software dannosi, carte di credito clonate, documenti d’identità. Centotremila gli annunci di prodotti illegali monitorati. Il giro d’affari che passava dalla piattaforma si aggirava sui 25 milioni di euro su cui il gruppo intascava una provvigione del 4%.
Cianci, secondo, l’accusa curava i rapporti con gli «exchangers di cryptovaluta»: si sarebbe cioè occupato di convertire la moneta virtuale in euro, con l’obiettivo di incassare i profitti della vendita di droga anche per conto degli amministratori del market. E dopo il loro arresto, l’avvocato avrebbe poi ingaggiato un esperto programmatore informatico per recuperare le credenziali necessarie ad entrare nella piattaforma. Nel mirino anche un viaggio a Bucarest «per condurre operazioni di riciclaggio dei proventi dell’attività svolta sul market». Insomma, avrebbe fornito un supporto stabile affinché la piattaforma mantenesse la sua operatività al fine di trasferire proventi derivanti dalle attività illecite svolte sul deep web.
A mettere nei guai Cianci ci sono soprattutto le dichiarazioni rese in tre interrogatori da un «pentito», diciamo un «collega» dei tre cyber geni, attivo su una piattaforma concorrente. Cianci, «quantomeno a partire dalla primavera 2019 e sino alla definitiva chiusura dell’associazione, prendeva attivamente parte alla stessa», contesta l’accusa. Il suo, dopo l’arresto dei suoi assistiti, era un compito fondamentale «per assicurare la redditività del sodalizio e delle attività criminose dallo stesso gestite, occupandosi in maniera stabile di reclutare i soggetti cui affidare la ripulitura della criptovaluta costituente profitto dei traffici della piattaforma, così convertendola in moneta avente corso legale e al contempo dissimulando la provenienza delittuosa di ingenti valori». Una «funzione cruciale», la sua, all’interno dell’associazione «senza la quale i suoi componenti sarebbero rimasti privi di mezzi economici». Per fare tutto questo Cianci avrebbe anche «strumentalizzando la sua attività di patrocinatore nel procedimento penale» in cui erano coinvolti i suoi assistiti.
Tutte accuse che l’imputato ha sempre respinto. «Mi dichiaro totalmente estraneo ai fatti che mi vengono contestati», dichiarò nel corso dell’interrogatorio di garanzia, negando «nella maniera più assoluta di avere chiesto aiuto» al programmatore suo accusatore «per sbloccare i fondi di Berlusconi Market». E ancora: «Non ho mai avuto bitcoins».
Intanto, davanti al Consiglio distrettuale di disciplina dell’Ordine degli avvocati pende a carico di Cianci un procedimento disciplinare, al momento in fase istruttoria.