Giustizia truccata
«Giudici corrotti a Trani» inizia il processo a Nardi
L’ex gip è in carcere da gennaio: come il suo accusatore D’Introno
BARI - L’accusa è di aver svenduto la giustizia, coordinando una cricca di persone pronte ad addomesticare processi in cambio di soldi e favori. Dopo oltre 100 ore di incidente probatorio inizia oggi a Lecce il processo agli ex giudici di Trani: visto che gli ex pm Antonio Savasta e Luigi Scimè hanno scelto l’abbreviato, davanti alla Seconda sezione comparirà oggi solo l’ex gip Michele Nardi, che da gennaio è in carcere e non ha mai detto una sola parola. Ma in carcere ci è finito, per una storia diversa, anche il suo principale accusatore, l’imprenditore Flavio D’Introno.
Nel processo che si apre oggi a Lecce, insieme a Nardi (che rischia vent’anni per 11 diversi capi di imputazione) sono imputati anche l’ispettore di polizia Vincenzo Di Chiaro, pure lui in carcere a Matera, e l’avvocato barese Simona Cuomo. Ai tre la Procura contesta l’associazione per delinquere finalizzata alla corruzione in atti giudiziari (di cui Nardi è ritenuto capo, promotore e organizzatore) oltre che, a vario titolo e secondo le rispettive responsabilità, numerosi episodi di concussione, millantato credito, minacce, calunnia e falso ideologico e materiale. A processo vanno pure Gianluigi Patruno, il «falso testimone» che si sarebbe prestato a costruire le accuse contro i nemici di D’Introno, e Savino Zagaria, l’ex cognato del pm Savasta: rispondono di concorso in corruzione (Patruno anche di calunnia).
BARI - L’inchiesta nasce dalle denunce di D’Introno, che ha raccontato di aver consegnato ai tre giudici oltre due milioni di euro, di aver pagato viaggi e ristrutturazioni, oltre che gioielli e elettrodomestici. Un ventaglio di regali che vanno dal diamante ai frullatori, nel disperato e inutile tentativo di sfuggire a una condanna per usura che è poi diventata definitiva nonostante le rassicurazioni di Nardi: i giudici dei collegi di primo grado e appello, quelli che Nardi avrebbe detto a D’Introno di aver corrotto, sono infatti parti offese nel procedimento insieme allo stesso imprenditore coratino che pure resta indagato. La Procura di Lecce ritiene tuttavia che D’Introno abbia effettivamente pagato i giudici Nardi, Savasta e Scimè, con gli ultimi due (il giudizio abbreviato davanti al gup Cinzia Vergine partirà il 20) accusati di aver addomesticato alcuni fascicoli in cambio di denaro: Savasta ha ammesso gran parte delle accuse, si è dimesso dalla magistratura e ha ottenuto gli arresti domiciliari, Scimé si proclama innocente ed attende anche l’esito del procedimento disciplinare aperto dal Csm. Su Nardi ci sono invece le parole di D’Introno e quelle di Savasta, oltre che le intercettazioni: si sarebbe fatto finanziare per anni dall’imprenditore di Corato, che gli avrebbe anche ristrutturato una villa a Trani e una casa a Roma.
Nel frattempo il 10 ottobre D’Introno è finito anche lui in galera, proprio per la condanna a quattro anni e mezzo rimediata nel processo «Fenerator» sull’usura. Il Tribunale di Sorveglianza di Bari ha infatti respinto la richiesta di affidamento in prova ai servizi sociali per motivi di cura, e così l’imprenditore coratino (che oggi non sarà in aula) è stato portato nel carcere di Trani: il suo avvocato, Vera Guelfi, che sulla decisione della Sorveglianza aveva pure scritto una lettera aperta al capo dello Stato, ha presentato ricorso in Cassazione.