Aggressione
Bari, impiegata anagrafe finisce in ospedale
Manca un documento per la carta di identità e allo sportello si scatena la furia di una donna
ENRICA D'ACCIO'
Dieci giorni di prognosi, sette giorni di collare e di tutore al braccio, una costola contusa, escoriazioni varie. Così i medici sul referto di Giovanna Ladisa, in servizio all’ufficio anagrafe di via Fraccacreta, l’ennesima dipendente comunale aggredita dai soliti noti.
L’episodio risale a giovedì e lo racconta la stessa protagonista. «Ero in servizio all’ufficio anagrafe, impegnata a rilasciare le nuove carte di identità elettroniche. L’agente di polizia municipale in servizio, che è di piantone nel nostro ufficio, mi annuncia un ragazzo, munito di permesso del giudice per uscita straordinaria, in quanto agli arresti domiciliari». Il ragazzo non ha tutti i documenti necessari per richiedere la nuova tessera d’identità e il personale comunale è costretto a rimandarlo indietro. Alle 12 e un quarto, ormai fuori orario di servizio al pubblico, il ragazzo si ripresenta, accompagnato da due testimoni, necessari per l’identificazione, così come previsto quando il richiedente non ha altro documento di identità. Anche in questo caso, però, manca qualcosa, la denuncia di smarrimento della vecchia carta d’identità. Continua Ladisa: «Ho fatto presente che mancava la denuncia, ho suggerito loro una soluzione e ho dato la mia disponibilità a riceverli nel pomeriggio, fuori dall’orario di lavoro, per poter completare la procedura. Mentre il ragazzo direttamente interessato già andava via, ringraziandomi per la disponibilità, la sua compagna, che aveva portato come testimone, ha cominciato ad inveire contro di me, prima insinuando che facessi favoritismi, poi passando alle minacce, contro di me e contro i miei familiari. Mentre la invitavo ad andare via, mi ha lanciato contro, all’altezza dell’addome, il telefono cordless che avevo sulla scrivania». Seguono parolacce e minacce di tutti i generi, un ricco campionario di volgarità.
Una collega di Ladisa, presente nella stanza, va a chiamare il vigile urbano in servizio che, infine, riesce ad allontanare la donna violenta. «A questo punto, ho invitato il ragazzo che aveva fatto richiesta della carta d’identità e che per tutto il tempo è rimasto immobile, ad uscire dalla mia stanza e l’ho accompagnato fuori. Qui, la sua compagna mi ha aggredito alle spalle, torcendomi il braccio, tirandolo con forza. Il vigile in servizio e un altro dipendente in pensione, che si è trovato lì per caso, mi hanno alla fine messa in salvo». Ma anche dalla stanza «ho continuato a sentire le minacce di morte». Passato il trambusto, «mi sono fatta accompagnare in ospedale. I medici mi hanno dato 10 giorni di prognosi. Al di là delle ferite, perfettamente visibili sul mio braccio, non riesco a togliermi dalla testa le minacce di morte che mi sono state rivolte. Non penso di poterle dimenticare né presto né facilmente. È una situazione assurda. Io ero lì, a lavorare, a fare il mio dovere e, come sempre ho fatto, mi sono messa a disposizione di chi ha bisogno anche oltre l’orario di lavoro. Cosa sarebbe successo se non ci fossero stati i colleghi e gli ex colleghi nel mio ufficio?».