«Siamo costretti a fermarci, lo facciamo con rammarico. Ci abbiamo provato in tutti i modi, ma non potremmo proseguire in sicurezza il nostro viaggio e questo significherebbe mettere a rischio la nostra barca e la nostra vita, coinvolgendo moltissime altre persone. Siamo responsabili e riteniamo di doverci fermare». Con queste parole, attraverso i suoi canali social, l’attivista Francesca Amoruso, a bordo di Al-Awda, una delle imbarcazioni della Freedom Flotilla Italia in rotta verso Gaza, ha annunciato il ritiro dalla spedizione.
«Ci fermiamo in mare - prosegue - consapevoli di aver sollevato un moto di sdegno e indignazione nei confronti dell’azione del governo di Israele, ma torniamo convinti di non fermarci. Vogliamo ricongiungerci a tutti gli equipaggi di terra per continuare a lottare per una Palestina libera e per la fine di questo genocidio». Amoruso era partita da Otranto (Lecce) lo scorso 25 settembre. «La nostra nave di appoggio Ghassan Kanafani ha subito due avarie - racconta - ed è stata sottoposta a fermo dalla polizia portuale greca, adesso è a Heraklion (a Creta, ndr) sotto sequestro».
«Noi - prosegue - eravamo più avanti come rotta, ma siamo stati abbordati dalla Capitaneria di porto greca in assetto antisommossa e siamo stati sottoposti a un controllo molto lungo. In questo modo abbiamo perso la possibilità di ricongiungerci con le altre navi della Flotilla e siamo stati costretti a fermarci per poi decidere di tornare a prestare soccorso alla nostra nave madre». «Questo - conclude l’attivista - ci ha fatto capire che non è possibile proseguire. Responsabilmente, senza nave di appoggio, abbiamo capito che in solitaria non è possibile andare avanti verso l’obiettivo ultimo, che è Gaza».