il caso

Amtab, in Tribunale le accuse del commissario: «Assunte 26 persone vicine ai clan baresi, il fratello del boss decideva tutto»

L'avvocato D'Amore sentito come testimone nel processo Codice Interno: «Massimo Parisi presiedeva il cral aziendale e concedeva i prestiti ai colleghi»

BARI - «Dal 2003 al 2023 si sono registrate gravissime irregolarità sotto il profilo delle assunzioni, sia dirette che attraverso le società interinali, anche con personaggi appartenenti a famiglie mafiose». Lo ha detto l’amministratore giudiziale e amministratore unico dell’Amtab, Luca D’Amore, nel corso dell’esame come testimone nell’udienza in Tribunale del processo Codice Interno. D’Amore ha risposto alle domande dei pm della Dda di Bari, Fabio Buquicchio e Marco D’Agostino, che hanno condotto l’inchiesta sui rapporti tra mafia e politica in cui a febbraio 2024 sono state arrestate 130 persone tra cui l’ex consigliere regionale Giacomo Olivieri (finito in carcere, ha optato per l’abbreviato), la moglie Maria Carmen Lorusso (ex consigliere comunale di Bari fino al 2024) e il padre, l’oncologo Vito Lorusso.

IL FRATELLO DEL BOSS PARISI

L’avvocato romano D’Amore ha fatto l’esempio di Massimo Parisi, formalmente incensurato, fratello del boss Savino, anche lui arrestato nel blitz e solo recentemente licenziato dall’Amtab dove lavorava come autista di bus dal 2013 e fino al 2022. «Massimo Parisi – ha detto D’Amore - decideva anche i percorsi su cui doveva guidare, escludendo per motivi di salute e sicurezza i quartieri San Paolo e Carbonara» Cioè quelli in cui sono egemoni altri clan mafiosi. Parisi è stato anche presidente del Cral dell’Amtab, il circolo ricreativo aziendale che «gestisce i fondi che vengono versati sia dall'azienda sia volontariamente dai singoli dipendenti, e nel corso del tempo ha svolto una funzione assistenziale di finanziamento ai dipendenti che ne avevano necessità».  Il Cral, ha spiegato D'Amore, «elargiva fondi ai dipendenti che ne facevano richiesta, prelevati dal fondo comune» sulla base delle «esigenze più disparate», da quelle «odontoiatriche all'acquisto di auto, ma anche esigenze familiari legate alle utenze domestiche». Il rilascio delle somme era «autorizzato dal presidente del Cral». Parisi, ha spiegato D'Amore, aveva versato nel tempo «quote significative» come «contributo volontario». «I rappresentanti temporanei del Cral, in assenza del presidente dopo l'arresto, hanno detto di aver aperto dei conti correnti per Parisi» e per gli altri imputati (Tommaso Lovreglio e Michele De Tullio, entrambi arrestati e oggi ex dipendenti Amtab).

«IN AZIENDA TUTTI SAPEVANO»

«La maggior parte dei soggetti intervistati» nell'Amtab «hanno ammesso il ruolo di spessore che Parisi, e altri dipendenti coinvolti nell'inchiesta, avevano in termini di peso nei confronti degli altri dipendenti. Tutti sapevano il peso criminale del signor Massimo Parisi, hanno ammesso di conoscere il signor Parisi e hanno ammesso i collegamenti con clan Parisi», ha aggiunto D'Amore. «La stessa presidente Donvito ha dichiarato di sapere chi fosse Massimo Parisi in termini di" vicinanza "a consorterie criminali baresi, unitamente a Tommaso Lovreglio e Michele De Tullio».

 Rispondendo alle domande dell'avvocato di Parisi, Gaetano Sassanelli, D'Amore ha detto di «non aver riscontrato direttamente ipotesi di minacce o comportamenti indicativi di indici di mafiosità» da parte di Parisi nei suoi anni da dipendenti Amtab. L'unico elemento riscontrato, ha aggiunto D'Amore, è «una contestazione disciplinare a cui è seguita una sanzione per aver avuto una discussione con un soggetto apicale, legata allo svolgimento delle mansioni. C'è stata una discussione, poi una contestazione disciplinare e infine la sanzione». Il dirigente, ha spiegato D'Amore, non ha subito ritorsioni di alcun tipo.

«LE 26 PERSONE VICINE AI CLAN»

L'amministratore unico ha poi riferito che è emerso che nella municipalizzata dei trasporti erano vi erano 13 persone assunte direttamente dall'azienda, a tempo determinato o indeterminato, legati da vincoli di parentela o di vicinanza con esponenti del clan Parisi di Bari. Altre 13, sempre in qualche modo vicini al clan, sono state assunte a tempo determinato attraverso le società interinali, e tra questi ci sono anche due figli di Massimo Parisi.

La gestione delle assunzioni nell'azienda, per D'Amore, nel corso degli anni ha «consentito l'ingresso di risorse assolutamente inidonee allo scopo e inserite su metodo clientelare», causando all'Amtab «un danno progressivo difficilmente stimabile». Ci sono poi, ha aggiunto D'Amore, dei «danni derivanti dal fenomeno infiltrativo, come nel caso della vigilanza: prima dell'ingresso dell'amministrazione giudiziaria l'Amtab era terra di nessuno, si poteva entrare e uscire senza alcun tipo di controllo. Il personale che avrebbe dovuto controllare era della società che aveva ottenuto la vigilanza, che di fatto però non svolgeva le attività» per cui aveva ottenuto l'appalto. Per questo, nei confronti di questa società, si aprirà «un contenzioso» civile dato dalla «risoluzione in danno» del contratto.

«RISCHI ANCHE PER GLI APPALTI»

Nel corso dell'udienza D'Amore ha parlato anche delle misure prese per «escludere i rischi di infiltrazione criminale in tutte le funzioni aziendali», che «non è solo nelle assunzioni, ma anche negli appalti, nella gestione aree di sosta, della gestione dei turni degli operatori d'esercizio. Questa situazione ha necessitato di un approccio a 360 gradi, costringendoci ad esborsi ulteriori per attività che prima l'Amtab non aveva mai fatto e che oggi è costretta a fare, perché oggi i soldi sono usati in maniera diversa».

L'esempio è quello della società che aveva in appalto la vigilanza: «Se uso soldi per pagare aziende che non fanno il loro lavoro, non posso usarli per fare la manutenzione». Tutte queste pratiche, per D'Amore, hanno causato un «danno reputazionale» di grande rilievo per l'azienda, «perché i fatti mediatici collegati all'inchiesta stanno determinando un problema di rating verso gli stakeholders» dell'Amtab, «in particolari quelli bancari». «I principali istituti di credito - ha detto D'Amore - manifestano criticità nella prosecuzione dei rapporti e l'azienda rischia di perdere affidamenti per circa 7 milioni di euro».

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