BARI - «Sono tanto pentito, non volevo ucciderlo, ma quando quella sera mi ha chiamato “morto di fame” e ha minacciato me e la mia famiglia, mi sono imbestialito». Per cinque ore Salvatore Vassalli ha risposto alle domande di pm, avvocati e giudici, raccontando la sua versione dei fatti, in parte smentita dall’esito delle indagini. Risponde di omicidio volontario pluriaggravato da premeditazione, futili motivi, crudeltà e minorata difesa della vittima che potrebbero costargli l’ergastolo.
L’operaio di Canosa, omicida reo confesso del fisioterapista barese Mauro Di Giacomo, ucciso nel piazzale sotto la sua abitazione, nel quartiere Poggiofranco, la sera del 18 dicembre 2023, ha descritto con lucidità il litigio di quella sera, finito con la morte del professionista, ma ha anche raccontato i «cinque anni di inferno» che avevano preceduto il delitto.
Il movente Vassalli attribuiva a Di Giacomo la colpa di una lesione permanente ad un braccio causata alla figlia Ornella durante una seduta di fisioterapia (per la quale era in corso, e lo è tuttora, un processo civile per il risarcimento dei danni). Come rivelato dalle indagini, e confermato dall’imputato alla Corte, questa vicenda era diventata una «ossessione» per la famiglia Vassalli.
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