Il processo

Codice interno, è il giorno della difesa di Olivieri. Il gup: «Non venga a Bari, resti in Salento»

Massimiliano Scagliarini

No alla partecipazione dell’ex consigliere regionale all’udienza in cui parleranno i suoi avvocati: «Dovrà seguirla da remoto»

BARI - Ha dato soldi e ha fatto regali per ottenere voti in favore della moglie, ma lo ha fatto rivolgendosi a persone che aveva conosciuto durante la sua attività politica e non a esponenti dei clan. È questa la linea di difesa di Giacomo Olivieri, l’uomo centrale dell’indagine Codice Interno, che sarà esposta stamattina nell’arringa difensiva. Ma lui, l’ex consigliere regionale arrestato a febbraio 2024 e da circa un mese andato ai domiciliari, non sarà in aula.

Il gup Giuseppe De Salvatore non ha infatti autorizzato Olivieri a tornare a Bari dall’appartamento di Parabita in cui vive dal 28 marzo. La Dda di Bari aveva dato parere positivo. Ma il giudice, vista la distanza, ha ritenuto «opportuno» applicare la norma del codice di procedura che in questi casi prevede la partecipazione in videoconferenza. E dunque Olivieri stamattina dovrà presentarsi in un’aula attrezzata più vicina al luogo in cui è ai domiciliari: qui verrà attivato il collegamento audiovisivo «con modalità idonee a salvaguardare il contraddittorio e l’effettiva partecipazione dell’imputato».

La difesa (avvocati Gaetano e Luca Castellaneta) potrebbe parlare a lungo. Dovrà affrontare i due aspetti cardine di tutta l’indagine Codice Interno: il rapporto con i tre clan con cui - secondo l’accusa - Olivieri avrebbe stretto un patto, e quello con la politica di cui lo stesso Olivieri ha a lungo parlato nel suo interrogatorio di febbraio davanti al gup De Salvatore. Due facce della stessa medaglia, a ben vedere, visto che la Dda di Bari chiede una condanna a 10 anni (al netto dello sconto di un terzo per la scelta del rito abbreviato) rilevando una «spregiudicatezza» che non merita nemmeno la concessione delle attenuanti generiche.

Olivieri è finito in carcere il 12 febbraio 2024, portato a Lanciano dove è rimasto rinchiuso 13 mesi in una cella di alta sicurezza. Ha fatto ammissioni, ma si è anche difeso - fin dall’inizio - respingendo l’accusa dei pm Fabio Buquicchio e Marco D’Agostino: quella di aver svolto un «ruolo di primo piano» nel «reperimento di voti mafiosi» a favore della moglie Maria Carmen Lorusso, candidata (poi eletta) con il centrodestra alle elezioni comunali di Bari nel 2019. Ma ci sono anche la «particolare pervicacia», il «disprezzo», il «linguaggio astioso e crudele utilizzato», e la «capacità di piegare tutto e tutti alle proprie spregevoli e bieche esigenze di profitto personale» con una «continua ricerca di forme di arricchimento illecito personale» che, secondo la Dda, ne farebbero un personaggio uso al compromesso anche con i clan Parisi, Strisciuglio e Montani.

Tutte le difese degli imputati accusati di associazione a delinquere finalizzata al voto di scambio politico-mafioso hanno finora insistito sul fatto che, a loro parere, le indagini non hanno accertato l’utilizzo del metodo mafioso nel reperimento delle preferenze a favore di Carmen Lorusso. La tesi più volte espressa è che i singoli procacciatori di voti si sarebbero mossi, su input di Olivieri, tra persone particolarmente sensibili perché in difficoltà economiche, e dunque più propense ad accettare un «regalo» o comunque una promessa di denaro. Un comportamento di tipo corruttivo, dunque, che non avrebbe fatto ricorso alla violenza o all’intimidazione tipica delle associazioni mafiose. Il «patto» non sarebbe dunque servito a rinforzare il clan, quanto a soddisfare un’esigenza personale di chi paga (Olivieri) e di chi riceve il denaro. Da qui la richiesta avanzata finora da molti difensori di riqualificare l’accusa nella meno grave corruzione elettorale. Ma nel caso di Olivieri, visto il peso specifico delle accuse e alcune intercettazioni in cui mostra di conoscere benissimo le parentele delle persone con cui si rapportava, la strada è tutta in salita. 

Privacy Policy Cookie Policy