Bari Tutto eccetto che un palazzo «fantasma». Malgrado l’ordinanza di sgombero firmata il 24 febbraio 2024, la palazzina crollata in via Pinto angolo via De Amicis non aveva proprio l’aspetto di un luogo disabitato. Tutt’altro. Perchè sembra proprio che all’interno dello stabile ci fosse un autentico via vai con cadenze quasi quotidiane. «E forse qualcuno ci dormiva ancora...», si lascia scappare un’inquilina.
«qui tutte le nostre cose» La certezza è che, malgrado fosse passato più di un anno, oltre quindici famiglie consideravano quel palazzo ancora un punto di riferimento: mobili (anche di un certo valore), indumenti, persino documenti erano ancora saldamente nelle case. Come confermano candidamente i proprietari e gli ex inquilini. «Mi ero trasferita in quella casa da pochissimo tempo», ha detto Frias Matilde Costa, accorsa nella zona la sera del 5 marzo, appena appreso del crollo. «Quando è arrivata l’ordinanza di sgombero mi sono trasferita in un altro appartamento, ma ho con me le chiavi di casa e ho sempre mantenuto i contatti con il proprietario che era felice dell’avvio dei lavori per la messa in sicurezza. Appena una settimana fa ero salita con due amici per prendere le mie cose: sono sconvolta». «Tutti ci siamo arrangiati con sistemazioni provvisorie: chi è andato in affitto, chi magari si è appoggiato dai figli», aggiunge una residente del secondo piano. «Ma penso proprio di non sbagliarmi se dico che gran parte dei nostri beni fossero rimasti in casa. Nella mia ad esempio avevo lasciato il mobilio e molti capi d’abbigliamento, alcuni anche piuttosto importanti. Mi auguro che dalle macerie qualcosa sia recuperabile: insieme a quel palazzo davvero sono crollate anche le nostre vite».
«Lasciati allo sbaraglio» C’è chi ha perso tutto nel «collasso» della palazzina: l’investimento sull’acquisto degli immobili, le prospettive, persino il lavoro. «Siamo vittime di incuria istituzionale», afferma Alfredo Grieco, uno dei proprietari degli appartamenti crollati. «Siamo stati sgomberati per un problema a un pilastro, avevamo incaricato quattro ingegneri per risanare lo stabile, con la massima premura di metterlo in sicurezza. Nessuno si è impegnato a capire se fossimo in emergenza abitativa. Siamo andati avanti a nostre spese per un anno dilapidando i nostri risparmi , mentre gli ingegneri hanno impiegato quasi dieci mesi per consegnarci il capitolato. Appena sono iniziati i lavori è crollato tutto. Ora come ci risolleveremo?». Una domanda che si pone anche Sergio Cascelli, titolare di un salone da parrucchiere inaugurato nel 2019. «Le conseguenze sull’agibilità si sonno riflesse anche sui locali», racconta. «I lavori erano stimati in 14 mesi, ma già dopo tre si sarebbe potuto rientrare in alcuni locali, mentre le opere sarebbero proseguite stabile per stabile. Ma adesso tutto si è sbriciolato: non ho sussidi e devo aaffrontare tante spese». I suoi clienti hanno avviato una raccolta fondi per sostenerlo. «L’avvio costerebbe oltre 50mila euro - risponde Cascelli - e dubito che si potranno raggiungere cifre così rilevanti, ma ringrazio davvero di cuore chiunque stia avendo un pensiero per me. Forse mi mancano persino le energie per ricominciare. Mi auguro che il Comune mi aiuti a trovare un’altra occupazione: non ho risorse per riprendere l’attività in cui mi ero specializzato».