BARI - Ridotta a 14 anni e otto mesi di reclusione (da 15 anni e 8 mesi) la condanna inflitta a Romeo Okoidigun, 26enne di nazionalità nigeriana imputato per la morte del 21enne somalo Abdi Aboala, il cui corpo senza vita fu trovato vicino ai binari della stazione centrale di Bari la notte tra il 17 e il 18 febbraio 2022.
Il 26enne, processato per omicidio volontario, fu fermato poche ore dopo il delitto e subito confessò. «Ho afferrato il coltello e l’ho colpito con forza al collo tentando di tagliargli la testa - disse agli inquirenti - Poi il ragazzo è caduto sui binari mentre passavano treni che suonavano di continuo. Mi sono sporcato tutti gli indumenti di sangue e poi sono scappato». Arma del delitto un coltello di 33 centimetri e lama da 19 cm, che il 26enne aveva ancora indosso quando i poliziotti lo rintracciarono e bloccarono, a pochi passi dal luogo del delitto e meno di 24 ore dopo. Fu identificato grazie alle telecamere di videosorveglianza della stazione e, al momento della perquisizione, indossava gli stessi abiti immortalati dalle immagini, ancora sporchi di sangue.
Tra i due, prima della colluttazione letale, ci sarebbe stato un approccio sessuale. «Non era un mio amico - aveva spiegato l’imputato - , non so perché l’ho ucciso. Quel ragazzo che ho incontrato non stava bene. Si è buttato sui binari ed il treno che è passato ha iniziato a suonare. Questo ragazzo si comportava male, ha bevuto la birra, poi abbiamo bevuto il gin e insieme abbiamo fumato marijuana. Poi abbiamo iniziato a prenderci a botte». A quel punto il 26enne avrebbe colpito Abdi alla gola con il coltello che aveva nella tasca della giacca, uccidendolo. «Io avevo un grosso coltello nascosto all’interno della tasca della giacca, l’ho preso e il ragazzo con cui stavo litigando ha tentato di togliermelo dalle mani, io ho afferrato nuovamente il coltello e l’ho colpito con forza al collo tentando di tagliargli la testa. Mi dispiace molto per quello che è successo - aveva detto ancora il presunto assassino - , ma non so perché è successo».
Quei luoghi, tra piazza Moro e piazza Umberto, spesso – in passato più di oggi vista l’intensificazione dei controlli – spesso sono diventati punti di ritrovo per spacciatori in cerca di clienti, senza tetto, gente che vive di espedienti e piccoli reati. I protagonisti di questa drammatica storia, da quello che è emerso, non erano spacciatori né soci in affari loschi. Si sarebbero incontrati per bere e farsi compagnia. Poi la lite dal tragico epilogo. Un omicidio - si legge nella sentenza di primo grado - commesso «con modalità violente e brutali», preceduto da «una aggressione a pugni e schiaffi» e con l’ulteriore sfregio alla vittima ormai esanime, denudata e trascinata sui binari. Le immagini delle telecamere hanno confermato la dinamica e consentito in pochissimo tempo di identificare l’aggressore.
La Procura formalizzò l’accusa di omicidio volontario aggravato dai futili motivi, chiedendo l’ergastolo. L’aggravante però è stata esclusa già in primo grado dai giudici della Corte di Assise (che quindi hanno applicato lo sconto di un terzo della pena previsto dal rito abbreviato). L’imputato, su richiesta del difensore, l’avvocato Marco Sfragasso, durante il primo processo è stato anche sottoposto a una perizia psichiatrica che ha rilevato un «vizio parziale di mente». In appello la pena è stata ora ulteriormente ridotta.