BARI - Continua a tenere banco nel dibattito/scontro tra politica e magistratura sulla riforma della giustizia l’episodio che in apertura della cerimonia di inaugurazione dell’anno giudiziario di Bari ha coinvolto il viceministro della Giustizia Francesco Paolo Sisto, destinatario di un «regalo», sei dadi, dal segretario nazionale di Area Dg, il giudice Giovanni Zaccaro. «La giustizia ve la state giocando», gli aveva detto il magistrato, ottenendo come risposta da Sisto di «usare quei dadi per il brodo». E ieri il viceministro è tornato sull’episodio, definito «molto sgradevole», «un modo sbagliato, volgare, di farsi beffa delle istituzioni», una «gag da Striscia la Notizia».
Segretario Zaccaro, come risponde?
«Mi dispiace che non abbia colto l’ironia. Ma è un uomo spiritoso ed un uomo di diritto, sono certo che pure lui non è d’accordo con il suo ministro che ha sostenuto che il sorteggio è un “momento alto della giurisdizione”. Se fosse così, non servirebbero avvocati e giudici ma basterebbe giocarsi la giustizia con i dadi, come diceva Rabelais, che però era un autore satirico e non un giurista».
Che conseguenze avrebbe il sistema del sorteggio?
«Gli Stati democratici si fondano sulla separazione dei poteri. Dopo il fascismo, sorse il problema di garantire la autonomia del potere giudiziario, senza assoggettare i giudici al controllo del Ministro ma anche senza lasciare che diventassero una corporazione chiusa. I padri costituenti ebbero una grande intuizione: il Csm, un organo misto, composto da magistrati, eletti dai colleghi, e da giuristi, eletti dal Parlamento, presieduto dal presidente della Repubblica. Con la riforma, i componenti del Csm non saranno più eletti ma sorteggiati. Insomma, si toglie il diritto di voto ai magistrati ed al Parlamento. Mi sembra un gravissimo precedente. Domani qualcuno potrebbe pensare di sorteggiare i Consigli dell’ordine, i consigli comunali o addirittura il Parlamento. Non si scherza con il diritto di voto».
Il viceministro ha commentato l’uscita delle toghe dall’aula come un «evidente gesto di belligeranza».
«Da mesi c’è una campagna propagandistica martellante contro i magistrati. La protesta di ieri (sabato, ndr), simbolica ma molto sobria, serve a suscitare attenzione sui rischi della riforma Nordio».
Il Governo dice che questa riforma la chiedono i cittadini. Voi ai cittadini cosa tentate di fare capire?
«Il ministro vuole separare i magistrati che indagano dagli altri. Io penso che è meglio unire che dividere. Che è meglio che la cultura dei diritti e delle garanzie sia condivisa da tutti. Non vorrei, invece, che li si voglia dividere per renderli più controllabili, per evitare che processino i potenti di turno».
Il ministro Nordio ha detto che non intendeva umiliare i magistrati? Vi siete sentiti umiliati?
«In realtà io mi sento umiliato quando mi rendo conto che i cittadini che aspettano tanto tempo per una decisione o quando il sistema processuale gira a vuoto. Ma qui le colpe non sono solo dei magistrati. Spetta al Ministero fornire gli strumenti e, negli ultimi tempi, il processo digitale ha dimostrato gravi difficoltà. Spetta al Parlamento fare leggi chiare ed invece, in Italia, le regole del processo cambiano ogni legislatura e spesso sembrano dei cruciverba».
Crede vi siano margini per modificare la riforma? E in che modo?
«La riforma è solo un feticcio ideologico, non renderà i processi più veloci o le decisioni più giuste. Serve invece ridurre il numero dei reati, razionalizzare gli uffici giudiziari, usare tecnologie che funzionano, evitare che la giurisdizione svolga una funzione di supplenza o venga usata per supplire al malfunzionamento delle pubbliche amministrazioni».