Sabato 06 Settembre 2025 | 16:03

Bari, arriva la sentenza sulla faida mafiosa del 2017: «Japigia non è come Gomorra»

 
Isabella Maselli

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Isabella Maselli

Bari, arriva la sentenza sulla faida mafiosa del 2017: «Japigia non è come Gomorra»

La cassazione ha confermato le assoluzioni di due imputati per l’omicidio Gelao e quelle di quindici affiliati al clan Parisi-Palermiti per le «stese» camorristiche. Ma per Signorile si riaprono le porte del carcere

Giovedì 05 Dicembre 2024, 09:04

BARI - È stato assolto in via definitiva dall’accusa di omicidio, ma ventiquattr’ore prima della sentenza era finito di nuovo in cella per associazione mafiosa. È l’ultima tegola giudiziaria sulla testa di Giuseppe Signorile, 37enne barese, coinvolto nelle inchieste della Dda di Bari sulla faida del 2017 a Japigia. Il pregiudicato è stato arrestato dalla Polizia per il suo passato da affiliato al clan Parisi-Palermiti nell’ambito della indagine «Codice Interno», che vede già alla sbarra un centinaio di presunti suoi ex sodali.

Dopo la sanguinosa faida della primavera 2017, quando a Japigia si susseguirono nel giro di poche settimane tre omicidi per il controllo del traffico di droga, Signorile sarebbe poi transitato nelle fila del clan Strisciuglio, continuando a delinquere, «costantemente nel corso degli anni, anche dopo la disarticolazione del clan - spiegano gli inquirenti - , restando particolarmente attivo nel settore della commercializzazione delle sostanze stupefacenti».

Ieri pomeriggio, assistito dall’avvocato Andrea Melpignano, il 37enne si è avvalso della facoltà di non rispondere ma ha reso dichiarazioni spontanee contestando le accuse a suo carico. È detenuto da tre giorni nel carcere di Lecce e lì, in cella, ha saputo ieri della sentenza della Cassazione che ne ha decretato in modo irrevocabile l’estraneità all’agguato mafioso del 6 marzo 2017, quando fu ucciso il pregiudicato Giuseppe Gelao e ferito Antonino Palermiti, nipote del boss Eugenio, in risposta all’omicidio di Francesco Barbieri, che era stato ammazzato il 17 gennaio di quell’anno. I giudici della Suprema Corte, infatti, hanno rigettato il ricorso della Procura generale, rendendo definitive le assoluzioni di Signorile e di Davide Monti (entrambi in primo grado erano stati condannati in abbreviato alla pena di trent’anni di reclusione e poi assolti in appello). Unico condannato per il delitto Gelao resta al momento Antonio Busco, l’uomo che aveva innescato la guerra con i Parisi-Palermiti i quali, per reazione, avrebbero ucciso uno dei suoi pusher, Barbieri. La risposta sarebbe stata il delitto Gelao (a Busco è stata inflitta in primo grado la condanna all’ergastolo mentre l’altro killer, Nicola De Santis, fu poi ucciso il 12 aprile 2017).

Un omicidio che la Dda, impugnando le assoluzioni di quelli che riteneva gli altri due sicari, Signorile e Monti, aveva definito «strategico per l’esistenza e l’espansione del gruppo» criminale capeggiato da Busco, «sia perché era una vendetta rispetto all’omicidio Barbieri, sia perché colpiva i vertici del clan Palermiti, con un’azione di forza tesa a dimostrare le ambizioni del gruppo Busco».

La Cassazione non soltanto ha confermato le due assoluzioni rigettando il ricorso, ma ha anche annullato con rinvio (accogliendo i ricorsi dei difensori, gli avvocati Bruno Larosa, Andrea Melpignano, Giusida Sanseverino e Dario Vannetiello) la condanna a 5 anni inflitta a Signorile per la detenzione di un’arma e, senza rinvio, quella a 2 anni di reclusione inflitta a Monti per violazione della sorveglianza speciale.

I giudici, inoltre, hanno rigettato il ricorso della Procura anche con riferimento alle cosiddette «stese» in stile camorristico, presunte spedizioni armate nelle strade del quartiere, di cui rispondevano in quindici. Per tutti loro (Attilio ed Edoardo Caizzi, Paolo D’Amato, Antonio Ripoli, Angelo e Michele Martiradonna, Roberto Boccasile, Radames Parisi, Michele Ruggieri, Antonino Grasso, Giuseppe Loglisci, Pasquale Leonardo Tritta, Massimiliano Bottalico e Vito Rinaldi, difesi dagli avvocati Libio Spadaro e Carlo Russo Frattasi, Giuseppe Benvestito, Giuseppe Giulitto, Gianluca Loconsole, Nicola Quaranta, Gaetano Sassanelli, Attilio Triggiani) la Corte di piazza Cavour ha confermato le assoluzioni. La Cassazione ha condiviso evidentemente le conclusioni dei giudici baresi e delle difese sulla inesistenza di riscontri ad una incursione armata di 12-13 motori, per esempio qualche traccia dei circa 360 bossoli, al più ricollegando il contenuto di alcune intercettazioni alla esplosione di fuochi d’artificio.

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