Il caso

Spedizione punitiva allo spacciatore «infedele»: la Dda chiede sette condanne fino a sei anni

Isabella Maselli

Si tornerà in aula il 7 gennaio per le arringhe difensive

BARI - La Dda di Bari ha chiesto sette condanne fino a 6 anni e un mese di reclusione per i presunti autori della spedizione punitiva pianificata per vendicare il tradimento di un pusher che si era rifornito di droga da un narcotrafficante esterno al clan e aveva poi spacciato nel territorio controllato dall’organizzazione mafiosa. I sette imputati, alcuni dei quali ritenuti affiliati al clan Strisciuglio, sono a processo con rito abbreviato. Comune e Regione si sono costituiti parti civili. Si tornerà in aula il 7 gennaio per le arringhe difensive.

La vicenda risale al 2022 e nasce da un tentato agguato, nella tarda serata del 26 dicembre a Santo Spirito, sfumato perché il commando armato fu messo in fuga dai carabinieri. Quella sera uno dei presunti aggressori, il 40enne Aldo Brandi, fu fermato con una pistola. Due giorni dopo, sul lungomare Cristoforo Colombo di fronte al bar «Ghiaccio bollente», l’agguato andò a buon fine. In quattro, identificati in Brandi, Emanuele Lacalamita, 24 anni, Saverio Petriconi, 23 anni, e Giuseppe Sebastiano di 26 anni, «agendo con metodologia mafiosa», avrebbero sorpreso in strada la vittima e «ritenendolo meritevole di una punizione esemplare per aver acquistato stupefacente da spacciare da fornitori diversi» da quelli di riferimento del clan, causando così mancati introiti alle classe dell’organizzazione criminale e, quindi, «contravvenendo alle regole del monopolio territoriale delle attività di spaccio», lo avrebbero «percosso selvaggiamente» causandogli la lussazione delle vertebre lombari, fratture e un trauma cranico. Per Brandi, Lacalamita e Sebastiano l'accusa ha chiesto la condanna a 5 anni e 3 mesi di reclusione; per Petriconi 3 anni.

Oltre a identificare gli autori del violento pestaggio, i carabinieri - coordinati dal pm della Dda Marco D’Agostino - avrebbero poi fatto luce anche su altri episodi, tra i quali richieste estorsive ai danni dello stesso pusher e della sua famiglia da parte del medesimo gruppo criminale autore del pestaggio, per voce - questa volta - delle donne del clan, identificate in Marialessia Tamma, moglie di Brandi e Luana Moretti, moglie di un altro affiliato non coinvolto in questa storia, le quali «avrebbero dato l’input per l’organizzazione del primo agguato, poi sfociato nel pestaggio di due giorni dopo». Per loro è stata chiesta la condanna a 6 anni e un mese di reclusione.

Dopo l’aggressione, poi, il clan avrebbe deciso di formulare, ai danni della famiglia del pusher infedele, una richiesta estorsiva di 20mila euro. Richiesta che, poi, sarebbe stata estesa anche ad un altro spacciatore del clan. A quel punto quest’ultimo, con la moglie Lucia Cassano (chiesti 3 anni e 4 mesi), avrebbero preteso dalla famiglia del pusher il «risarcimento di quanto pagato, con la minaccia di ritorsioni ai danni delle figlie». 

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