BARI - Gestiva illecitamente le scommesse, ma non lo avrebbe fatto per conto o con la complicità della mafia calabrese. Per Francesco Martiradonna, figlio per più noto Vito, noto a Bari come «Vitino l’Enèl», la Cassazione ha annullato con rinvio la condanna a 2 anni di reclusione inflitta a giugno 2021 dalla Corte di Appello di Catanzaro.
Secondo i giudici di piazza Cavour «la Corte di appello non ha in alcun modo dimostrato, ma si è limitata ad una mera affermazione, la riconducibilità delle attività di gestione illecita delle scommesse alla operatività del gruppo associativo, e nulla ha detto per escludere quel che, invece, emerge come dato di immediata percezione, ossia che la gestione delle scommesse e i rapporti con i rappresentanti fossero patrimonio di Pasquale Arena, ma non già della cosca nella sua unitaria soggettività. In ragione dell’assenza di una spiegazione adeguata a dare atto del collegamento degli affari e delle attività della società Kroton Gannes con la cosca Arena, si rileva l’insufficienza della motivazione in riferimento all’aggravante della finalità di agevolazione mafiosa».
Nel ricorso in Cassazione il difensore di Martiradonna, l’avvocato Dario Vannetiello, contestava proprio l’aggravante del metodo mafioso, «illogicamente ritenuta nonostante l’assoluzione dal delitto di concorso esterno nell’associazione mafiosa» e comunque non motivata perché fondata «sulla sola connotazione mafiosa della cosca Arena e sull’asserita conoscenza, in capo al ricorrente (Francesco Martiradonna, ndr), delle “qualità mafiose” dei coimputati». Secondo la Dda, il 51enne barese avrebbe collaborato con la cosca degli Arena per imporre il suo portale di scommesse, Centurionbet, in tutta la provincia di Catanzaro.
Il bookmaker maltese Centurion riconducibile a Martiradonna (e nato sulle ceneri di una precedente esperienza a Londra) avrebbe cioè collaborato con la Kroton degli Arena, - o almeno di questo erano convinti gli inquirenti calabresi - cui avrebbe messo a disposizione la propria piattaforma informatica e i «totem» per la raccolta delle scommesse. Per questo il barese era finito anche in carcere e in primo grado era stato condannato a 11 anni di reclusione per concorso esterno in associazione mafiosa. Da questo reato è stato poi assolto in appello e i giudici avevano ridotto la pena infliggendo 24 mesi per il solo esercizio abusivo dell’attività di scommesse, aggravato però dal metodo mafioso. La Corte di Appello di Catanzaro potrebbe rivedere ancora al ribasso al condanna, addirittura azzerarla, perché potrebbe concedere le attenuanti generiche o, se ritenesse di escludere l’aggravante mafiosa, il reato sarebbe prescritto.