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La maxitruffa con il fotovoltaico della famiglia D'Introno. La società del padre dell'imprenditore che denunciò i giudici deve restituire 2,4 milioni

 
Massimiliano Scagliarini

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Massimiliano Scagliarini

La maxitruffa con il fotovoltaico della famiglia D'Introno. La società del padre dell'imprenditore che denunciò i giudici deve restituire 2,4 milioni

La condanna della Corte dei Conti per la Ceramiche San Nicola di Corato: «L'impianto è abusivo, ha truffato il Gestore servizi elettrici»

Giovedì 17 Ottobre 2024, 09:22

17:52

Un impianto fotovoltaico da 1 Megawatt realizzato senza autorizzazione edilizia, milioni di euro di incentivi incassati senza rispettare le norme del Gse. Sarebbe una storia delle tante, se i protagonisti non fossero i parenti di Flavio D'Introno, l'imprenditore che con le sue denunce ha portato all'arresto degli allora magistrati Michele Nardi e Antonio Savasta. Una storia che sembra nata proprio da liti di famiglia.

La Corte dei conti (presidente Daddabbo, relatore Iacubino, a latere Picuno) ha condannato la Ceramiche San Nicola di Corato a restituire i 2,4 milioni di euro che ha incassato nel corso degli anni a titolo di incentivo per l'energia elettrica prodotta dall'impianto montato sul tetto e su una tettoia realizzata nel piazzale, assolvendo Renza D'Introno, sorella di Flavio e attuale legale rappresentante dell'azienda inizialmente guidata dal padre Vincenzo, deceduto lo scorso anno.

La vicenda è importante perché l'inchiesta sulle sentenze truccate nel Tribunale di Trani nasce proprio da un problema fiscale della famiglia D'Introno: per ottenere l'annullamento delle cartelle esattoriali (e per evitare una condanna) Flavio avrebbe pagato i magistrati, salvo poi denunciarli quando ha capito di essere stato a sua volta raggirato.

L'inchiesta sul fotovoltaico, che nel 2021 in sede penale ha portato al sequestro dell'impianto, è nata da una denuncia di Giuseppe D'Introno, l'altro fratello che insieme a Renza è stato sentito come teste nel processo di Lecce concluso con la condanna dei magistrati coinvolti e con quella dello stesso Flavio, l'unico finora ad avere scontato la sua pena. Sono poi intervenuti i giudici contabili, che nel 2022 con il sostituto procuratore generale Marcella Papa hanno chiesto la condanna di D'Introno padre e figlia e della società a restituire 3,4 milioni.

Dalle indagini delegate alla Finanza è emerso che l'impianto fotovoltaico sarebbe stato realizzato abusivamente, nel senso che la Scia presentata da Vincenzo D'Introno sarebbe stata respinta dal Comune di Corato per mancanza di requisiti. Nonostante questo, l'imprenditore avrebbe presentato al Gse (che eroga gli incentivi) un diverso documento con una data diversa. La società si è difesa sostenendo di non aver mai saputo del diniego da parte del Comune, ma - hanno scritto i giudici contabili - sul documento risulta annotato non solo il «diniego ad eseguire, per carenza dei requisiti di fattibilità», ma anche «la presa visione del diniego» da parte del richiedente. Tanto che a luglio 2011, dimostrando «di essere ben consapevole di tale circostanza», Vincenzo D'Introno avrebbe presentato al Comune una richiesta di permesso di costruire delle tettoie metalliche in variante al Prg.

«Purtuttavia - è scritto in sentenza - il D'Introno presentava al Gse, a corredo due domande di concessione di tariffe incentivanti per impianti fotovoltaici - una Scia diversa da quella a sua volta presentata in Comune e comunque priva della veduta annotazione di rigetto; otteneva quindi alle agevolazioni in parola cui seguiva la sottoscrizione delle relative convenzioni». I giudici hanno rilevato che «la doppia sottoscrizione» sotto la seconda Scia «non sembra imputabile» a Vincenzo D'Introno, ma hanno ugualmente rilevato la «mancanza di buona fede» della ditta e il dolo a carico dell'imprenditore, mentre non c'è prova che la figlia abbia avuto parte nelle manovre ritenute fraudolente.

I giudici hanno tuttavia ridotto a 2,4 milioni la somma da restituire al Gse, per effetto della prescrizione e perché il Gestore dei servizi elettrici avrebbe dovuto accorgersi di essere stato truffato, visto che la società non aveva prodotto l'attestazione del Comune circa la sussistenza effettiva del titolo edilizio. «Il Gse avrebbe potuto addirittura evitare il verificarsi degli eventi dannosi accertando la mancata allegazione di un documento». E ora dovrà attivarsi per provare a recuperare i soldi.

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