Il procedimento

Case e Rolex con i soldi delle scommesse: Vitino l’Enèl prova a riprendersi l’impero

Isabella Maselli

A cinque anni dal patteggiamento Vito Martiradonna e i suoi due figli contestano la sentenza promuovendo un incidente di esecuzione

BARI - Vito Martiradonna, meglio noto a Bari come Vitino l’Enèl, con i suoi due figli Michele e Mariano, provano a bloccare le confische dei loro beni, barche, case e gioielli del valore di milioni di euro, stabilite cinque anni fa con sentenza - ormai irrevocabile - nel procedimento su un presunto giro di scommesse online illegali.

All’epoca, era il dicembre 2019, in quattordici patteggiarono pene tra i tre anni e i 16 mesi di reclusione. Tra loro c’era anche il cantante Tommy Parisi, figlio del boss di Japigia Savinuccio. Contestualmente ai patteggiamenti, il gip ratificò le confische collegate a quei reati (associazione per delinquere, riciclaggio e autoriciclaggio, truffa e reati tributari, raccolta abusiva di scommesse, trasferimento fraudolento di valori e intestazione fittizia di beni con l’aggravante mafiosa): beni del valore complessivo di circa 22 milioni di euro. Le confische sono diventate definitive a settembre 2021. Ora, a distanza di anni, gli imputati provano a bloccarle, chiedendo al giudice dell’esecuzione di dichiarare «illegale» la pena stabilita con il patteggiamento e di conseguenza le confische. Sei dei quattordici imputati che avevano patteggiato hanno fatto ricorso attivando un incidente di esecuzione che si è celebrato ieri davanti alla giudice del Tribunale di Bari Roma Caramia. A promuovere l’azione sono Vito, Michele e Mariano Martiradonna, Michele Buontempo, Giovanni Paolo Memola e Mariella Franchini, assistiti dagli avvocati Dario Vannetiello e Teodoro Reppucci. Se, però, il giudice dovesse condividerla, la «pena illegale» riguarderebbe tutti gli imputati, compreso Tommy Parisi.

IL PROCEDIMENTO «SCOMMESSA» - Agli imputati la Dda di Bari contestava di aver creato, tra il 2009 e il 2018, un sistema transnazionale di scommesse illegali online, stringendo accordi anche con gruppi malavitosi in Sicilia, Campania e Calabria. In particolare, le indagini della Guardia di Finanza hanno permesso di accertate che il gruppo criminale, con base operativa a Bari e ramificazioni a Malta, Antille olandesi, Isole Vergini britanniche e Seychelles, era dedito principalmente all’abusiva raccolta e gestione di scommesse sportive sul territorio nazionale ed estero. Dalle attività investigative - sviluppate attraverso intercettazioni telematiche e telefoniche, acquisizioni documentali, indagini finanziarie e audizioni di collaboratori di giustizia - è emerso che il gruppo si avvaleva di società di diritto maltese nonché delle cosiddette «skin», società di diritto estero provviste di licenze per operare nel settore dei giochi e delle scommesse rilasciate dalle Antille olandesi e non riconosciute in Italia. Attraverso queste società e utilizzando siti web irregolari, gestivano, senza i prescritti titoli abilitativi, scommesse online con un volume di affari illecito di ben 650 milioni di euro.

Dopo il blitz di novembre 2018 che portò in manette molti degli indagati, in 14 decisero di patteggiare: Vito Martiradonna a due anni di reclusione, Tommy Parisi a un anno e 10 mesi per aver intestato fittiziamente a quattro prestanome altrettanti centri scommesse con sede a Bari e in provincia.

LE CONFISCHE - Agli imputati sono stati confiscati imbarcazioni, immobili a Bari, Foggia e Londra, auto, moto, sale scommesse e 16 società con sede in Italia e all’estero, a Malta, Curacao, Isole Vergini e Seychelles. E, ancora, conti correnti, orologi (tra i quali 4 Rolex del valore di decine di migliaia di euro), gioielli con perle e brillanti, 50 borse di marche di lusso come Chanel, Hermes e Louis Vuitton.

L’INCIDENTE DI ESECUZIONE -  Le difese degli imputati contestano la sentenza di cinque anni fa ritenendo che i patteggiamenti fossero stati applicati in violazione di alcune norme di legge, cioè senza aver pagato i debiti col fisco (il risarcimento è uno dei requisiti del patteggiamento). In udienza, per l’accusa, ha difeso il provvedimento il procuratore aggiunto Ciro Angelillis, sostenendo che la pretesa delle difese sia ormai oltre tempo massimo, essendo la sentenza irrevocabile da tempo. La giudice si è riservata di decidere.

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