Blocco stradale
Corteo funebre con «inchino» mafioso a Bari: chiesto il processo per dieci motociclisti
Il 10 luglio inizierà l’udienza preliminare e il comune chiederà di costituirsi parte civile: «Hanno determinato un clima di insicurezza e sfiducia nelle istituzioni»
BARI - Il caso del corteo funebre mafioso che un anno fa ha attraversato la città con «inchino» sotto il carcere finisce davanti ai giudici. La Dda di Bari ha chiesto il rinvio a giudizio per dieci dei circa cento motociclisti che quel giorno «scortarono» da Japigia al cimitero del Libertà il feretro del loro amico 27enne Christian Di Gioia, morto in un incidente stradale qualche giorno prima.
I dieci imputati, tutti ritenuti della criminalità barese, rispondono di blocco stradale con l’aggravante mafiosa. L’udienza preliminare inizierà il 10 luglio e il Comune di Bari chiederà di costituirsi parte civile.
Il sinistro risale alla notte del 22 giugno 2023. Di Gioia è morto dopo essersi schiantato con la sua moto sul ponte di San Pio a Japigia. Erano da poco passate le 2.30 quando il 27enne, in fuga a forte velocità forse per sottrarsi ad un controllo, avrebbe perso il controllo del mezzo. Mentre la Procura indagava sull’incidente e sulle minacce ai carabinieri (già dai primi accertamenti risultati estranei al sinistro), amici e parenti hanno dato l’ultimo saluto al 27enne. Dopo il funerale, la mattina del 24 giugno, decine di moto rombanti hanno scortato e accompagnato il carro funebre con a bordo la bara, facendo tappa - contromano - anche davanti al carcere.
Il pm della Dda Fabio Buquicchio ha ricostruito tre blocchi stradali consecutivi da via Caldarola al cimitero monumentale del Libertà, facendo tappa e sosta in luoghi simbolici, tra i quali la casa del boss Eugenio Palermiti e il carcere, dove era rinchiuso il suocero della giovane vittima.
Una processione che secondo gli inquirenti baresi è stata mafiosa, perché le oltre cento moto di quel corteo non autorizzato avrebbero «costretto con la minaccia della loro imponente presenza», anche in controsenso, «i conducenti dei veicoli in transito ad arrestare o invertire la marcia», «evocando la forza tipica dell’agire mafioso, ostentando in maniera evidente e provocatoria una condotta idonea ad esercitare sui soggetti passivi (lo Stato per la manifestazione di sfida eseguita presso il carcere con applausi verso i detenuti, gli ignari automobilisti per i blocchi stradali, nonché tutta la comunità barese costretta a subire il disagio) quella particolare coartazione e conseguente intimidazione, propria dei gruppi mafiosi» e, nel caso specifico, «del clan Parisi-Palermiti predominante nel quartiere Japigia». Non solo. Con quel comportamento, avrebbero «fornito, indirettamente, un supporto di credibilità al clan, dimostrando concretamente il potere di controllare il territorio e violare pubblicamente le leggi dello Stato».
Dieci di loro (tutti sottoposti nei mesi scorsi alla misura cautelare dell’obbligo di dimora) rischiano ora il processo. Nel provvedimento con il quale il Comune ha deciso di costituirsi parte civile, assistito dall’avvocato Giuseppe Buquicchio, è spiegato che «le condotte delittuose ascritte agli imputati hanno determinato un clima di insicurezza e sfiducia nelle istituzioni, da parte della cittadinanza e della collettività tutta, con lesione della sfera istituzionale della civica amministrazione, ente che, per legge e per statuto, rappresenta la comunità locale e ne cura gli interessi, ponendosi come sistema al servizio dei cittadini, secondo i principi di trasparenza, imparzialità e buon andamento della pubblica amministrazione, la cui violazione comporta un danno patrimoniale e non. Poiché intende affermare la propria volontà di perseguire ogni attività criminosa idonea a colpire gli interessi dell’intera collettività di cui il Comune è ente esponenziale e quindi di impedire il sorgere e il radicarsi nel proprio territorio di attività delittuose che determinano grave nocumento (anche sul piano strettamente patrimoniale) sia sotto il profilo dell’immagine della città che del suo sviluppo turistico e delle attività produttive ad essa collegate, appare necessario che il Comune di Bari si costituisca parte civile nel processo».