BARI - Finiscono alla sbarra i presunti responsabili della spedizione punitiva pianificata per vendicare il tradimento di un pusher, il quale si era rifornito di droga da un narcotrafficante esterno al clan e aveva poi spacciato nel territorio controllato dall’organizzazione mafiosa. Per otto persone, alcune delle quali ritenuti affiliate al clan Strisciuglio e arrestate qualche settimana fa, la Dda di Bari ha chiesto e ottenuto il giudizio immediato. Salvo richieste di riti alternativi, il processo inizierà il 2 luglio dinanzi al Tribunale di Bari.
La vicenda risale al 2022 e nasce da un tentato agguato, nella tarda serata del 26 dicembre a Santo Spirito, sfumato perché il commando armato fu messo in fuga dai carabinieri. Quella sera uno dei presunti aggressori, il 40enne Aldo Brandi, fu fermato con una pistola. Due giorni dopo, sul lungomare Cristoforo Colombo di fronte al bar «Ghiaccio bollente», l’agguato andò a buon fine. In quattro, identificati in Brandi, Emanuele Lacalamita, 24 anni, Saverio Petriconi, 23 anni, e Giuseppe Sebastiano di 26 anni, «agendo con metodologia mafiosa» si legge negli atti, avrebbero sorpreso in strada la vittima e «ritenendolo meritevole di una punizione esemplare per aver acquistato stupefacente da spacciare da fornitori diversi» da quelli di riferimento del clan, causando così mancati introiti alle classe dell’organizzazione criminale e, quindi, «contravvenendo alle regole del monopolio territoriale delle attività di spaccio», lo avrebbero «percosso selvaggiamente» anche colpendolo con il calcio di una pistola, causandogli la lussazione delle vertebre lombari, fratture e un trauma cranico. A seguito di questa aggressione, i carabinieri hanno avviato le indagini, riuscendo non soltanto a identificare gli autori del violento pestaggio, ma facevano luce anche su altri episodi, tra i quali richieste estorsive ai danni dello stesso pusher e della sua famiglia da parte del medesimo gruppo criminale autore del pestaggio, per voce - questa volta - delle donne del clan.
I carabinieri, coordinati dal pm della Dda Marco D’Agostino, hanno ricostruito che, «le donne del “gruppo”», identificate in Marialessia Tamma, moglie di Brandi e Luana Moretti, moglie di un altro affiliato non coinvolto in questa storia, «avrebbero dato l’input per l’organizzazione del primo agguato, poi sfociato nel pestaggio di due giorni dopo».
Dopo l’aggressione, poi, il clan avrebbe deciso di formulare, ai danni della famiglia del pusher infedele, una richiesta estorsiva di 20mila euro. Richiesta che, poi, sarebbe stata estesa anche ad un altro spacciatore del clan, «ritenuto colpevole di aver fornito» allo spacciatore droga «senza l’autorizzazione del gruppo». A quel punto quest’ultimo, con la moglie Lucia Cassano, avrebbero preteso dalla famiglia del pusher il «risarcimento di quanto pagato, con la minaccia di ritorsioni ai danni delle figlie». Nell’inchiesta è contestata anche la detenzione di armi e droga. Nel corso di una perquisizione fatta il 23 gennaio 2023, infatti, i carabinieri hanno scoperto una cupa (custodita nella cantina della casa di Gaetano De Carne a San Pio) con all’interno circa 700 grammi di hashish e cocaina, oltre a 2 fucili AK47, una pistola semiautomatica e 350 cartucce di vario calibro. Brandi, Lacalamita, Petriconi e Sebastiani (accusati del pestaggio) e De Carne (ritenuto il custode delle armi e della droga del clan) sono ancora in carcere, mentre le tre donne sono ai domiciliari. Prsunta complice delle imputate per l’estorsione anche un’altra donna, Domenica Ricco, moglie di Saverio Faccilongo, detto «benzina», reggente del clan Strisciuglio a Enziteto (indagata in un procedimento connesso).