BARI - Omicidio volontario aggravato dalla premeditazione e dalla crudeltà. Con questa accusa è finito in carcere il 59enne di Canosa di Puglia Salvatore Vassalli, carpentiere incensurato ritenuto responsabile della morte del fisioterapista 63enne di Bari Mauro Di Giacomo, professionista molto conosciuto e stimato, che lavorava al Policlinico di Bari e in uno studio privato, nei pressi di via Amendola, ucciso sotto la sua casa, nel quartiere Poggiofranco del capoluogo pugliese, la sera del 18 dicembre scorso.
Movente del delitto, stando a quanto ricostruito dagli investigatori della squadra mobile coordinati dal pm Matteo Soave e dal procuratore aggiunto Ciro Angelillis, sarebbe stato il risentimento che il presunto omicida nutriva nei confronti della vittima per una presunta manovra fisioterapica che aveva – secondo Vassalli – causato alla figlia 30enne una invalidità ad un braccio. Su questa vicenda era in corso dal 2020 una causa civile ma il 59enne avrebbe deciso di farsi giustizia da solo. Avrebbe pianificato il delitto almeno da febbraio 2023, dieci mesi prima, facendo sopralluoghi davanti l’abitazione e lo studio professionale di Di Giacomo. La sera del 18 dicembre, intorno alle 20.25, lo avrebbe aspettato sotto casa e, dopo un breve litigio verbale, gli avrebbe scaricato addosso l’intero caricatore, sette colpi, della pistola che aveva con sé (non ancora trovata) ferendolo con 5 proiettili e poi avrebbe infierito sulla vittima colpendola al volto, ormai morente, con il calcio dell’arma. Quindi sarebbe fuggito a bordo della sua utilitaria. Ad incastrarlo sono stati i fotogrammi di alcune telecamere di videosorveglianza della città che hanno consentito di risalire al modello e a parte della targa della vettura risultata poi di proprietà di Vassalli. L’analisi delle celle telefoniche ha poi confermato la presenza dell’uomo a Bari all’ora esatta del delitto e anche il percorso di andata e ritorno Canosa-Bari, con due pause documentate all’altezza di Trani e Barletta forse per disfarsi dell’arma.
All’omicidio ha assistito, dal balcone della propria abitazione, un residente che quando si è accorto del litigio ha urlato tentando di fermare l’aggressore, senza riuscirvi. È stato lui a fornire agli investigatori le prime informazioni sul modello dell’auto e sulla dinamica. Ulteriori riscontri sono arrivati dalle intercettazioni telefoniche e ambientali. Pur con estrema prudenza, forse perché consapevole di essere intercettato, il presunto omicida avrebbe detto un giorno in auto alla figlia frasi che dimostrerebbero il proprio coinvolgimento, nel maldestro tentativo, però, di discolparsi. Non emerge che la famiglia fosse consapevole della responsabilità del Vassalli nell’omicidio.
In conferenza stampa il procuratore Roberto Rossi ha invitato a una riflessione culturale su alcuni aspetti di questa vicenda, a partire “dall’uso della violenza per farsi giustizia da sé per ottenere un supposto diritto invece di attendere le normali dinamiche sociali, la decisione di un giudice”. Un questione cultura che secondo il procuratore “dipende dalla ormai costante delegittimazione dei giudici e del sistema giudiziario, che è necessario nella sua tutela di immagine altrimenti diventa il far west in cui ognuno si fa giustizia da solo”.
“Nessun omicida si illuda – ha detto l’aggiunto Angelillis – di sfuggire alla polizia giudiziaria e alla procura, anche se come in questo caso le circostanze gli sono state favorevoli, perché: alcune telecamere non sono particolarmente performanti soprattutto nelle ore serali, non c’erano testimoni e nello zaino della vittima era stata trovata una lettera anonima che rischiava di portarci in altre direzioni, su un movente di tipo passionale, che sono state tutte scandagliate ma escluse”.