BARI - «Il Bari ha bisogno di rinforzarsi in attacco: altrimenti, rischia di restare una realtà da metà classifica». Diretto, cristallino, senza nascondere i problemi: Giancarlo Marocchi analizza il momento dei biancorossi. L’ex calciatore di Bologna, Juventus e della Nazionale (undici presenze dal 1988 al ‘91, con la medaglia di bronza ad Italia ‘90) è ora tra i talent di punta di Sky (broadcaster ufficiale della serie B per il satellitare: in arrivo una scorpacciata di cadetteria nel doppio turno tra il 23 ed il 26 dicembre) per cui ha commentato il match tra i Galletti e lo Spezia. Nelle interviste post partita, è stato anche protagonista di un siparietto con Pasquale Marino, proprio sulla «pericolosità» della formazione pugliese. «Alla fine io e mister Marino non dicevamo cose così diverse», sorride Marocchi. «Nel complesso, la sfida di La Spezia è stata equilibrata, forse il pareggio sarebbe stato il risultato più conforme a quanto visto in campo. Diciamo che l’ha spuntata la squadra che si è rivelata più concreta nella frazione a lei favorevole. Il Bari, invece, pur avendo prevalso nel primo tempo, non ha trovato il gol. Per una squadra così importante, considero un po’ poco il tiro dalla distanza di Achik e la grande occasione sciupata da Koutsoupias nell’arco di 90’. Poi è scontato che Marino debba analizzare anche altre situazioni per infondere coraggio ai suoi calciatori e rafforzare il concetto di proseguire sull’impostazione tecnico-tattica intrapresa».
E lei ritiene che l’assetto attuale possa essere il più adatto ai biancorossi?
«Per almeno due reparti su tre, sì. Di Cesare e Vicari compongono una delle migliori coppie di centrali della B e ormai sono abituati a lavorare insieme. Dorval e Ricci assicurano un buon equilibrio tra spinta e fase difensiva: Ricci, in particolare, secondo me è anche in una fase di crescita, sebbene si sia macchiato dell’errore in disimpegno da cui è poi nato il gol dello Spezia. A centrocampo, c’è buona scelta tra le mezzali: Koutsoupias, Maita, lo stesso Acampora abbinano tecnica e senso tattico, mentre Benali si sta reinventando con successo regista. Il problema è davanti, ma non è una questione secondaria: va risolto alla svelta».
Che cosa servirebbe per rendere più concreto il Bari?
«La squadra arriva con discreta frequenza a ridosso dell’area avversaria, ma poi mancano proprio alcune peculiarità imprescindibili, soprattutto sul piano della potenza, della fisicità di alcuni movimenti. Non bisogna dimenticare che il Bari ha perso i suoi migliori talenti nel reparto avanzato: Menez si è fatto male alla prima giornata, mentre Diaw ne ha giocate poche e forse mai a pieni giri. Se entrambi fossero stati a disposizione, sinceramente sarebbe stata un’altra storia. Nasti è un giovane promettente, ma ha appena vent’anni e non può reggere il peso dell’attacco sulle sue spalle, Aramu non è forse a suo agio nella posizione di esterno, mentre Morachioli e Achik sono ragazzi che hanno bisogno di maturare esperienza gradualmente. Finora, il solo Sibilli si è rivelato un valore aggiunto. Poco, per un complesso che deve nutrire ambizioni massimali».
Quali prospettive vede nella stagione dei Galletti?
«L’ultimo turno sembra averci avvertito che in coda c’è vita, eccome. Ma ad essere sincero non riesco proprio a vedere nel Bari una squadra che debba guardarsi le spalle. L’attenzione deve restare rivolta verso l’alto, ma a gennaio urgono correttivi: se dovessero arrivare due o tre calciatori per potenziare la batteria delle punte e degli esterni offensivi, allora la musica potrebbe radicalmente cambiare nel girone di ritorno. La zona playoff non è a due passi, ma nemmeno lontana. Resto convinto che l’obiettivo debba essere entrare tra le prime otto, altrimenti si dovrebbe parlare di un torneo deludente. Tuttavia, senza interventi di rilievo e se non dovessero rivedersi al top a breve Menez e Diaw, il rischio sarebbe continuare a navigare a centroclassifica».
C’è chi dice che il trauma della finale playoff persa stia ancora condizionando la stagione biancorossa: è possibile?
«Parliamo di un evento che in effetti è quasi un caso limite nella sua dinamica. La serie A mancata ha creato un’inevitabile ferita nella piazza, insieme alla smania di riprendersi subito quanto si è perso. Lo scorso anno il Bari è stato evidentemente trascinato da un ambiente che trasudava entusiasmo: tutta Italia parlava del pubblico del San Nicola o degli esodi in trasferta. Si vede che adesso l’aria si è un po’ appesantita. Tuttavia, ho ammirato più volte l’amore dei baresi per la loro squadra: a La Spezia quei 400 coraggiosi nel settore ospiti hanno sostenuto i calciatori senza sosta. Ecco, per un pubblico così i protagonisti sul campo devono cercare di metterci sempre qualcosa in più».
Nel mirino, però, c’è la famiglia De Laurentiis: la multiproprietà va stretta ai baresi…
«Situazione non semplice, ma bisogna mantenere lucidità di giudizio. Imprenditori così capaci non possono immaginare che una città come Bari si accontenti della B: restare in tale dimensione significherebbe perderci sotto tutti i punti di vista, a cominciare dal profilo economico. I De Laurentiis, però, lavorano sulla politica del passo all’altezza della gamba: tutto è progettato con gradualità e senza follie che comprometterebbero un intero sistema. Ma non ho dubbi che il salto in A resti la loro finalità».