BARI - Maria (nome di fantasia) ha poco più di sette mesi e fino ad oggi ha trascorso la gran parte della sua vita nella culletta di un ospedale. Una neonata prematura di un parto gemellare ridotta a uno stato vegetativo a causa di una infezione contratta poco dopo la nascita. Non potrà mai parlare o camminare. I genitori, baresi di 30 e 36 anni, chiedono alla giustizia che accerti le responsabilità, che individui gli eventuali colpevoli, secondo loro il medico che ha avuto in cura la mamma durante la gravidanza e poi quelli che hanno curato la bambina dopo la nascita.
«Abbiamo bisogno di sapere cosa sia realmente accaduto alla nostra bambina - scrivono nella querela depositata in Procura - : un genitore ha il diritto e il dovere di sapere perché il proprio figlio in ambiente ospedaliero, in una terapia intensiva (che dovrebbe essere un ambiente asettico), abbia contratto un’infezione che lo ha reso disabile e privato delle possibilità di avere una vita da persona abile». Sul caso la Procura ha aperto un’inchiesta.
LA STORIA I gemelli nascono alle 11.39 dell’11 ottobre 2022 nell’ospedale Miulli di Acquaviva, a 27 settimane di gestazione, con un parto cesareo d’urgenza perché la mamma è in una condizione di pre-eclampsia (gestosi), diagnosticata in uno stadio ormai «acuto», forse troppo tardi. Il bambino sembra subito il più fragile dei due, intubato, con una emorragia celebrale e le conseguenze di una infezione da klebsiella. Oggi fortunatamente sta bene. La bambina, invece, appare più forte e migliora giorno dopo giorno, tanto che dopo un paio di settimane lascia la terapia intensiva neonatale.
«A meno di un mese dalla nascita - racconta il papà nella denuncia - iniziava ad alimentarsi con l’ausilio del biberon alternato al gavage, iniziava ad effettuare la marsupioterapia con la madre, poiché non aveva alcun tipo di problema respiratorio, e poteva fare a meno della ventilazione artificiale». «La bambina faceva ogni giorno progressi, - continua il padre - non ha mai avuto una battuta d’arresto, non ha mai registrato un peggioramento, aumentava di peso e stava bene, talmente bene che è stata inserita in un particolare studio dedicato ai bambini prematuri. La mia compagna ed io eravamo felicissimi, potevamo tirare un sospiro di sollievo perché i medici, dato il rassicurante quadro clinico, iniziavano a parlarci di future dimissioni. Respirava autonomamente e si alimentava esclusivamente con il biberon, prendeva peso, cresceva e stava bene. L’ultimo giorno che ho visto mia figlia stare così bene è stato il 5 dicembre«. Da quel momento »iniziava per la piccola e per noi genitori l’inferno«.
La bambina viene trasferita in terapia intensiva e intubata perché ha febbre alta e serie difficoltà respiratorie. Aveva contratto - hanno accertato le analisi - una infezione da streptococco e poi una meningite batterica, con conseguenti danni cerebrali.
Ai genitori i medici spiegano che quella contratta dalla loro figlia è una «infezione rarissima» che aveva «colpito e devastato numerose aree cerebrali», prospettando che «in caso di sopravvivenza, avrebbe vissuto in stato vegetativo». Le restavano poche ore di vita, credevano i genitori, e quindi hanno deciso di battezzarla nella cappella dell’ospedale il 18 dicembre.
Il 4 gennaio, poi, la piccola viene trasferita in un altro ospedale, dove è ancora in cura, tra frequenti ricoveri e brevi periodi a casa. La risonanza magnetica cerebrale effettuata a Bari ha evidenziato danni in numerosi e fondamentali siti cerebrali: ha continue infezioni, frequenti crisi convulsive, anche perché passa da essere troppo fredda a troppo calda «perché il cervello non riesce più a regolare la temperatura corporea» si legge nella denuncia.
LA DENUNCIA E ora i genitori chiedono risposte: «In che modo mia figlia in terapia intensiva ha contratto questa infezione? Qualcuno è responsabile di tale tragedia e tale tragedia poteva essere evitata? I sanitari che l’hanno avuta in cura presso l’ospedale Miulli potevano prevenire l’insorgenza di tale infezione, e una volta contratta hanno fatto il possibile per arginare il diffondersi della stessa e delle annesse complicazioni inclusa quella della meningite?».
«Queste e tante altre domande mi pongo - dice il papà -, domande alle quali non abbiamo fino ad ora avuto risposta, se non un banale “non sappiamo come sia successo”. Questa risposta non può e non deve bastare ad un genitore che si ritrova con un figlio divenuto gravemente disabile perché ha contratto un’infezione in ambiente ospedaliero. La ricerca della verità è un atto dovuto nei confronti di mia figlia».
Dopo la querela, la Procura ha aperto una inchiesta per lesioni colpose gravissime. Il pm Claudio Pinto, che coordina l’indagine, ha disposto l’acquisizione delle cartelle cliniche e una consulenza tecnica affidando l’incarico a un medico legale, un neonatologo e un ginecologo. L’esito di questi accertamenti potrebbe dare ai genitori alcune delle risposte che attendono.