«C'è stato un ricorso sistematico al travisamento di fatti e prove, attività non consentita dal processo penale e civile. L’impossibilità di accertare la singola colpa sugli eventi ha portato a un’interpretazione aberrante del principio del concorso di causa». Lo ha detto l'avvocato Cesare Fumagalli, difensore dei marittimi Francesco Romano, Angelo De Candia, Francesco Nardulli e Antonio Gadaleta, nel corso del processo per il naufragio della Norman Atlantic, avvenuto a largo delle coste albanesi nella notte tra il 27 ed il 28 dicembre 2014 e che causò la morte di 31 persone e il ferimento di 64 passeggeri. Romano e De Candia sono accusati, in particolare, di aver causato attraverso il loro comportamento, il decesso di due passeggeri, e di aver gestito in modo scorretto l’approntamento e la gestione della lancia di salvataggio.
«A Romano e a De Candia i pm addebitano di aver cagionato morte di due persone che sono cadute in mare durante le operazioni salvataggio sulla lancia di sinistra. Gli imputati non avrebbero vigilato sulle operazioni e non avrebbero impedito l'accesso dei passeggeri prima che le operazioni di preparazione fossero concluse e la sicurezza fosse garantita - ha detto il legale -. Avrebbero poi messo in mare la lancia arbitrariamente, prima del raggiungimento della capienza massima, e senza aver atteso l’ordine del comandante». Contestazioni che l’avvocato respinge perché «non è specificato chi abbia fatto cosa - ha detto davanti ai giudici -. Non è neanche definita la condotta che avrebbe portato alla causa del decesso».
Fra le contestazioni della Procura anche il fatto di non aver fatto indossare ai passeggeri il giubbotto di salvataggio. «Testimoni hanno confermato come le due vittime fossero regolarmente munite di giubbotti salvataggio - contesta il legale -. Una aveva il giubbotto e se lo è tolto perché rappresentava un impedimento. L’altra lo indossava regolarmente, poi improvvisamente si è alzato, ha tolto il giubbotto per indossare uno zaino e si è lanciato verso il mezzo di salvataggio. Sia dalla lancia sia dal mercantile arrivato in soccorso furono inoltre lanciati salvagenti che però si sono dimostrati inutili». Fumagalli ha continuato evidenziando che "gli imputati sono scesi per ultimi dalla lancia, non sono scappati prima del dovuto». Il legale evidenzia anche che "l'ipotesi che De Candia sia arrivato in ritardo al punto di soccorso è assurda». «Prima - ricostruisce - si è trovato a seguire un ordine del comandante relativamente all’approntamento della lancia, poi si è trovato di fronte a centinaia di persone che si sono riversate verso la lancia, in preda al panico». De Candia avrebbe quindi dovuto superare l’ostacolo determinato dalla folla «per raggiungere la sua posizione. Il suo ritardo non è quindi stato causato da colpa o imperizia».
La conclusione di Fumagalli è che «non sapendo come davvero sono cadute in mare e morte quelle persone, la colpa è stata attribuita agli imputati». Fumagalli dice infatti che «a seguito dell’allarme generale, i marittimi hanno fatto tutto quello che dovevano fare. Il nostromo De Candia avrebbe dovuto coordinare le operazioni. Non si capisce quale sia la sua colpa: è sceso direttamente sul campo di battaglia, si è messo al verricello per spostare la lancia, visto che la corrente era andata via. Ci ha messo faccia, le braccia e i piedi. Gli si contesta il mancato coordinamento solo per essere sceso a dare una mano in condizioni estreme».
«Non esiste una vaga evidenza del nesso causale fra le azioni contestate agli imputati e il decesso di due passeggeri». Lo ha detto l’avvocato Cesare Fumagalli, difensore dei marittimi Francesco Romano, Angelo De Candia, Francesco Nardulli e Antonio Gadaleta, nel corso del processo dinanzi al Tribunale di Bari per il naufragio della Norman Atlantic, avvenuto a largo delle coste albanesi nella notte tra il 27 ed il 28 dicembre 2014 e che causò la morte di 31 persone e il ferimento di 64 passeggeri. Citando la deposizione di un testimone greco resa il 29 dicembre 2014, il legale ha ricostruito la «situazione drammatica, da stadio, con spinte e percosse» e la «corsa incontrollata per accedere alla lancia».
«Alcuni passeggeri hanno cominciato ad armeggiare intorno ai mezzi di soccorso e sono stati fermati da alcuni marinai - prosegue Fumagalli -. La scialuppa non era ancora in posizione e i passeggeri premevano per salire, in una situazione di grande pericolo. Quattro marinai urlavano alla gente di aspettare, ma il panico era fuori controllo». Citando una seconda deposizione, registrata lo stesso giorno, il legale ricorda che «i passeggeri non rispettavano gli ordini e si sono lanciati verso la scialuppa». Ricostruendo il racconto di un terzo teste, Fumagalli evidenzia che «il personale cercava di spiegare ai passeggeri come comportarsi, mentre cominciavano le operazioni di salvataggio». Il testimone, genovese, ha raccontato degli "spintoni per salire sulle scialuppe» e di essere salito a bordo "dopo aver indossato il giubbotto di salvataggio». «Il pavimento era caldissimo, per raffreddarlo i marinai usavano idranti e fra loro c'era il nostromo De Candia - va avanti Fumagalli, citando la testimonianza -. Il fuoco stava divampando, il contesto era difficile per il fuoco, il panico e gli spintoni, mentre l'equipaggio effettuava le prime operazioni di approntamento della lancia».
«Sono entrato nella scialuppa di salvataggio in modo aggressivo perché avevo paura per la mia vita. Sono riuscito a slittare da una catena e sono saltato a bordo. Dentro non c'era ancora nessuno, solo un membro dell’equipaggio era fuori dalla scialuppa per regolamentare gli ingressi. Dopo di me sono entrati gli altri». E’ il drammatico passaggio di una testimonianza resa il 29 dicembre 2014 e citata dall’avvocato Cesare Fumagalli, difensore dei marittimi Francesco Romano, Angelo De Candia, Francesco Nardulli e Antonio Gadaleta, nel corso del processo per il naufragio della Norman Atlantic, avvenuto a largo delle coste albanesi nella notte tra il 27 ed il 28 dicembre 2014 e che causò la morte di 31 persone e il ferimento di 64 passeggeri. Rileggendo il verbale della testimonianza, Fumagalli ha ricordato che «due membri dell’equipaggio italiani sono saliti sulla lancia successivamente e l’hanno condotta al mercantile, arrivato in soccorso. Romano era al posto di guida, l’altro si trovava sulla parte frontale e cercava di capire cosa succedesse e dove andare».
Fra le contestazioni della Procura agli imputati c'è quella di aver concorso, con colpa, al decesso di due passeggeri caduti in mare. «Ho visto gente cadere in mare a causa dalle spinte, sul ponte della nave - ha proseguito Fumagalli leggendo il verbale della deposizione -. Non è successo durante le operazioni per salire sulla lancia. Le persone cadevano dalla parte sinistra della lancia, dalla parte posteriore, quindi non in corrispondenza delle pedane di accesso alle lance». Citando un’altra testimonianza resa il 16 novembre 2021, Fumagalli ha ricordato che «i passeggeri nella lancia erano uno sull'altro, spingevano, c'era troppo affollamento. Alcune persone avevano le gambe bloccate alle sedie, non potevano camminare. Un bambino è caduto per terra con indosso un salvagente e la gente ha iniziato a camminare su di lui. Almeno cento persone si lanciavano disordinatamente sulla lancia». La situazione era quindi di «caos, panico, paura continua e speranze che andavano via piano piano - ha detto il legale -. La parte sinistra della nave era avvolta dal calore, dal fumo e cominciava a bruciare». Testimonianze, queste, che per la difesa rafforzano la tesi secondo cui «la contestazione dei pm è priva di prove». La prossima udienza è fissata il 18 gennaio.